Festa di Roma 2015 conferenza stampa del film Dobbiamo Parlare di Sergio Rubini

Il regista Sergio Rubini insieme agli attori Fabrizio Bentivoglio, Isabella Ragonese, Maria Pia Calzone, e gli sceneggiatori Carla Cavalluzzi , Diego De Silva e il produttore Carlo Degli Esposti hanno presentato nel pomeriggio il film Dobbiamo Parlare, una sorta di versione “all’amatriciana” delle dinamiche di coppie messe in scena in commedie di culto come Carnage o Cena tra Amici, successi francesi nati prima in teatro e poi approdati al cinema. E proprio intorno a questo tema verte l’analisi di Rubini, qui nella triplice veste di regista, attore e co- sceneggiatore, che racconta come tutto abbia avuto inizio con una semplice idea: raccontare la storia di una coppia con problemi che “invade” lo spazio casalingo di un’altra, con un’intesa perfetta. Alla fine la prima coppia reggerà alla fatale nottata, mentre sarà quella più salda a rimettersi in discussione e a scoppiare. In qualità di sceneggiatore, insieme alla Cavalluzzi (sua compagna nella vita) hanno cercato di trovare un “terzo uomo” in grado di aiutarli a portare a termine questo progetto, e la scelta è ricaduta su De Silva, brillante autore di romanzi dal tono umoristico ed esperto di “parole”, soprattutto in ambito letterario, un aspetto a cui Rubini teneva molto: trattandosi di una commedia basata sulla parola e gli incontri, non poteva non avvalersi della sua consulenza.

 

Dobbiamo Parlare 2Quindi nel processo creativo è partito prima dagli spunti, che poi si sono ampliati permettendo ai personaggi di prendere corpo: il suo intento era quello di creare una pellicola non claustrofobica, bensì brillante, dove la nottata non fosse tanto una croni-storia di un fallimento quanto un happening, un incontro tra quattro personaggi, non una telecronaca sterile e in tempo reale: aveva bisogno di una scrittura letteraria, basata sui dialoghi, ma al tempo stesso con un respiro cinematografico che potesse procedere per ellissi e salti temporali.  A Rubini è tornata utile l’esperienza maturata sui primi set e durante le prime esperienze, tipo con il film La Stazione, che gli hanno sempre fatto pensare a quanto fosse importante il feedback degli ascoltatori, del pubblico, un elemento questo possibile solo a teatro e non al cinema: per tale motivo a cercare a tutti i costi di portare prima in scena la sceneggiatura- una volta scritta- facendola interpretare dagli stessi attori per una mini- tournée composta da sei giorni, nelle Marche. Sei giorni per delle prove aperte destinate a tutti, sei giorni per ascoltare bene il riscontro del pubblico e l’accoglienza verso il film, per capire dove funzionava e dove non: ad esempio, era importante per il Rubini attore e per Bentivoglio capire chi poteva interpretare cosa, considerando che nella pellicola si sono quasi scambiati i ruoli: per la prima volta Rubini abbandona il ruolo del caratterista, della macchietta, e si cala in quelli dell’intellettuale, mentre Bentivoglio crea il personaggio di Alfredo “Prof”, cinico e disincantato cardiochirurgo romano, che si scherma dietro il suo pesante dialetto per difendersi dagli attacchi verbali di sua moglie Costanza, interpretata dalla vera rivelazione Maria Pia Calzone: lei ha costituito subito la prima scelta casting, considerandola una donna versatile e sorprendente, capace di interpretare un ruolo adatto alla Buy, per esempio. La Ragonese, al contrario, è stata scelta dopo un lungo casting, dove l’hanno scelta perché corrispondeva perfettamente al profilo che cercavano: quello di una ragazza giovane, fresca ma intellettuale.

Dopo il tour promozionale della pellicola tutto il cast promette di tornare attivamente in teatro, portando in scena altre repliche della commedia.

Qualcuno domanda a Rubini se, nella realizzazione, si è lasciato ispirare da un cult come Chi ha paura di Virginia Woolf? ma il regista nega, riconfermando una sua tesi in merito: i maestri sono figure paralizzanti, perché pensando alle loro opere può scattare, istintivamente, una sorta di blocco che impedisce di progredire a livello lavorativo. In qualche modo anche lui ha rischiato che accadesse, dopo aver lavorato con un maestro come Federico Fellini rischiava di chiudersi a riccio e non lavorare più, considerando ogni suo prodotto successivo non all’altezza.  La storia non ha subito nessun tipo di influsso o influenza: tutto è nato dalla sua voglia di mettere in scena delle dinamiche tra dei personaggi, i quali hanno preso corpo grazie alle interpretazioni e alle rispettive sensibilità degli attori chiamati ad interpretarli: a tal proposito cita, ad esempio, l’effetto che gli provocava Marcello Mastroianni comico, lo stesso che gli ha suscitato Bentivoglio in un ruolo inusuale per lui, che gli ha permesso di mettersi alla prova come uomo e come attore. Il focus di Rubini, De Silva e Cavalluzzi in fase di scrittura era quello di entrare negli ingranaggi di un conflitto di coppia, dotata ovviamente di due punti di vista diversi: una- quella più matura- vede la relazione come un investimento, una sorta di SpA; al contrario, l’altra- che ha sempre prediletto scelte anticonformiste in linea con il carattere di lei, Lidia, giovane femminista indipendente e post- moderna, forte delle sue fragilità- basata sulla profonda forma d’amore che lega entrambi. Ma basta l’amore a tenere in piedi un rapporto? È davvero un buon motivo per restare insieme, oppure c’è un motivo più profondo che ognuno di noi deve perseguire, ovvero la ricerca della propria felicità?

A queste domande tenta di dare una risposta il film, anche attraverso l’uso di un’immagine fortemente metaforica come quella del pesce nella boccia: simbolo di mutismo, rappresenta da un lato l’incomunicabilità della coppia, ma dall’altro una speranza nella possibilità di credere che l’amore sia ancora possibile; incarnando quindi l’essenza di questa pellicola incentrata sulla crisi di coppia ma non sulla negazione del concetto stesso di amore: ciò che porta alla sua rovina è l’incomunicabilità.

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