I montatori raccontano

Lo_spazio_bianco

 

Il 21, 22 e 23 Settembre scorsi, presso la Libreria del cinema, a Roma, si sono tenuti gli incontri con i montatori candidati (e uno vincitore) agli ultimi Nastri d’Argento.

 

L’evento, organizzato dall’ AMC (Associazione Montaggio Cinematografico e Televisivo), ha visto alternarsi, intervistati da due giornalisti, Massimo Fiocchi, vincitore del Nastro d’argento 2010 per  “Lo spazio bianco” di Francesca Comencini e montatore di diversi film di Gabriele Salvatores tra cui l’ultimo “Happy family”, Claudio Di Mauro, candidato per “Baciami ancora” di Gabriele Muccino e Mirco Garrone, montatore di Moretti e Bellocchio e candidato per “La nostra vita” di Daniele Luchetti.
Si è parlato innanzitutto del mestiere del montatore, che per tutti e tre è un insieme di tecnica, artigianato e arte, ma soprattutto del rapporto che si instaura tra montatore e regista, a volte sfiorando la psicanalisi, come sottolinea Fiocchi, a volte arrivando ad azioni psicanaliticamente definite, una sorta “coazione a ripetere” come spiega Garrone, che ti porta, o porta il regista a lavorare insieme allo stesso montatore per più di un film.
Per tutti e tre la moviola è il luogo dove il film viene rimesso in discussione, non necessariamente, come spesso si dice “il luogo dove viene rifatto il film”, ma dove si capisce se ciò che si è girato ha una struttura, un senso, soprattutto un inizio e una fine plausibili.
Una delle altre discussioni che sono state affrontate riguardavano l’avvento del digitale, la crisi e la riduzione dei tempi e dei budget nella produzione di un film, tutti aspetti che hanno un po’ cambiato anche il mestiere stesso, che sotto alcuni aspetti ha perso di valore visto che molto spesso la facilità di accesso ai software di montaggio digitale, fanno sottovalutare l’aspetto tecnico e di pratica di cui si compone questa professione.
Massimo Fiocchi, a cui viene consegnato il Nastro d’argento proprio alla Libreria, non avendo potuto presenziare alla premiazione a Taormina lo scorso Giugno, parla delle differenze di approccio alla regia tra Gabriele Salvatores e Francesca Comencini, sottolineando come il primo giri con in mente già un’idea di montaggio, e quindi facendo anche riprese con poca “copertura” ossia poche riprese in più che in alcuni casi possono essere usate come piani d’ascolto o come riserve, mentre dall’altro lato c’è la Comencini che tende ad avere molto materiale girato.
Dal suo canto, Di Mauro sottolinea come nel lavoro di  Muccino si possano riscontrare tutte le caratteristiche personali della vita privata del regista, e di come sia stato l’artefice del tentativo di riportare la commedia nel cinema italiano.
Garrone ripercorre invece la sua carriera, la scuola, il lavoro come assistente montatore fino al primo film come montatore, “Enrico IV” di Marco Bellocchio, nel 1984.
In tutti e tre i casi, viene fuori che oltre all’arte e alla tecnica, una delle doti principali di un buon montatore sia una buona capacità di ascolto e comprensione delle volontà del regista, per fare in modo che ciò che è stato girato sia il più possibile aderente a ciò che il regista aveva in mente.

 

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