La famiglia Bélier recensione del film di Eric Lartigau

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I Bélier sono una normalissima famiglia di allevatori francesi, apparentemente solo grandi lavoratori senza nulla di speciale, fatta eccezione che per una curiosa particolarità: sono tutti sordomuti, dal primo all’ultimo, tranne Paula, la primogenita di 16 anni. La ragazza, che segretamente coltiva una grande passione per la musica, decide di tentare la coraggiosa impresa di affrontare le selezioni per avere accesso ad una prestigiosa scuola di canto di Parigi, nel tentativo di inseguire un sogno non privo di ostacoli per la sua famiglia e la sua crescita.

 
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Campione d’incassi dell’attuale stagione cinematografica francofona ed intelligente programma di marketing pubblicitario, La famiglia Bélier si presenta come un ennesimo prodotto di sicuro successo commerciale sull’onda dalla contemporanea tendenza delle commedie agrodolci di stampo transalpino. Presentandosi fin da subito, orgogliosamente senza alcun timore, come un prodotto “acchiappa pubblico”, la pellicola di Eric Lartigau si serve di un plot di estrema semplicità nel quale vengono affrontati con naturalezza e intelligenza grandi temi del presente e del passato, tra cui le gioie e i dolori della maturità, la fragilità di sogni apparentemente irrealizzabili e il sacro rapporto di famiglia. Paula si trova fin da subito proiettata in un universo ai margini, vivendo una vita relativamente imbrigliata sotto due fronti: il mondo rurale e una condizione familiare a dir poco surreale. Il contrasto fra il silenzio della casa e la cacofonia della città costituiscono un modo con cui drammatizzare (anche esteticamente) i due poli centrali del conflitto interiore della protagonista, divisa fra gli affetti privati e le passioni future. Malgrado l’apparente difficoltà (o semplicità) tematica, Lartigau si dimostra perspicace e capacissimo nel dipingere una progressiva evoluzione psicologica e caratteriale di un personaggio il cui confronto con il mondo reale e il più piccolo universo familiare appaiono entrambi in un primo momento insormontabili. Paula, interpretata da un’eccellente Louane Emera, è un candido angelo biondo dalla voce cristallina, voce che appunto appare come un corpo estraneo nell’universo silenzioso e immoto che le ruota attorno sin dall’infanzia, rendendo a dir poco surreale per i propri cari poter assecondare un dono di cui essi non potranno mai godere.

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Il parco attoriale, in cui figurano nomi eccellentissimi in patria come Karin Viard, Francois Damiens e Eric Elmosnino, contribuisce non poco a dare forza e potenza a quella che appare ad un primo sguardo come una semplice (ennesima) confezione patinata pronta a far cassetta e a cercare facili lacrime. Pur senza rinnegare i numerosi ammiccamenti ad un cinema di largo consumo, il film di Lartigau può comunque vantasi di saper dimostrare grande chiarezza d’intenti, onestà intellettuale e una messa in scena sobria ma funzionale. Un prodotto pensato davvero per tutti e che dovrebbe lasciare per l’appunto tutti soddisfatti.

Matteo Vergani
Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.

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