L’Isola dei Cani, recensione del film di Wes Anderson

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A quasi dieci anni dal bellissimo Fantastic Mr Fox (2009) Wes Anderson torna a giocare con una delle sue tecniche cinematografiche predilette, ovvero l’animazione stop-motion, regalandoci L’Isola dei Cani, un film tanto originale, quanto perfetto, che tocca nel profondo tutte le corde emotive, commuovendo, strabiliando, tenendo con il fiato sospeso e soprattutto facendo rimanere lo spettatore attaccato allo schermo per tutta la durata della storia.

 

Ambientato in un futuro non troppo lontano e tutt’altro che improbabile, L’Isola dei Cani racconta la fantastica avventura  di Atari Kobayashi, un ragazzo di 12 anni, figlio adottivo dello spietato e cinico sindaco di una città del Giappone, Megasaki City. Il politico odia i cani, anche in conseguenza di un antica tradizione e decide di emanare un decreto di espulsione per tutti i cani della città. Una terribile malattia che sembra aver colpito tutti questi animali convince anche l’opinione pubblica che non ci possa essere altra scelta.

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Così, uno ad uno, tutti i cani vengono deportati su un isola discarica, trasformata in una vera e propria terra di nessuno, dove le tante bestiole sopravvissute all’esilio si riorganizzano in bande disperate. I cani sono alla continua ricerca di cibo, di speranza e di un barlume di sopravvivenza.

Atari fugge di casa e pilotando maldestramente un mini aereo si schianta sulla discarica. Vuole ritrovare Spot, il suo amato cane da guardia. Ferito, privo di un rene, azzoppato e con un pezzo di elica conficcato nella testa, il ragazzo stringe amicizia con un branco di cani ribelli e con loro intraprende un epico viaggio nella misteriosa e pericolosa isola dei cani.

L’Isola dei Cani è una storia che regala poesia, umorismo e azione. È un racconto sull’ amicizia, sulla lealtà, sulla difesa dei propri ideali. È una moderna fiaba animalista e ambientalista, che non diviene mai stucchevole e non cade mai in luoghi comuni e facili sentimentalismi, alternando momenti struggenti a sequenze molto violente, assai rare nel cinema di animazione.

L’Isola dei Cani erede del cinema di Kurosawa

Wes Anderson con il suo inconfondibile stile raffinato, colorato, simile ad un bellissimo libro illustrato, rende omaggio alla portata epica e alla bellezza del cinema giapponese e all’eredità narrativa di Akira Kurosawa, alla nobile lealtà dei compagni canini, qui ridotti a pulciosi samurai  pronti alla morte per la difesa di un ideale.

Anderson dipinge in punta di pennello, emulo delle raffinatezze di Hokusai,  una serie di meravigliose illustrazioni animate a passo uno, per raccontare il caparbio eroismo pieno di speranze del piccolo Atari, il suo rifiuto totale per l’ingiustizia e l’intolleranza,  la sua difesa spasmodica dei  sentimenti che lo legano dall’infanzia al suo amico a quattro zampe.

L’idea del film è iniziata con un improbabile, ma potente mix di fascinazioni condivise da Anderson e dai suoi collaboratori Roman Coppola, Jason Schwartzman e Kunichi Nomura, ovvero i cani, il futuro, le discariche, le avventure d’infanzia, i film giapponesi.  Dice Anderson:  “Volevo fare qualcosa di futuristico. Volevo un branco di cani alfa che fossero tutti i leader contemporaneamente. E volevo far vivere questa storia in una terra sconfinata fatta di spazzatura. Amo il Giappone e  il cinema giapponese  e volevo fare qualcosa che fosse davvero ispirato ai film giapponesi, ma che si mescolasse ai film che hanno i cani come protagonisti.”

L’Isola dei Cani è un film raro, di difficile catalogazione, fuori da qualsiasi schema e assolutamente non paragonabile ad altre pellicole. E’ un’opera piena zeppa di invenzioni visive e anche linguistiche (per questo motivo sarà difficile che il doppiaggio possa rendergli giustizia). Si tratta di un film talmente originale che potrebbe anche spiazzare lo spettatore, confondendolo con una struttura narrativa complessa, divisa in capitoli come fosse un libro e con continui salti avanti e indietro nel tempo, oltretutto sottolineati da un alternanza stilistica per differenziare visivamente le raffinate stratificazioni della storia.

L’Isola dei Cani è la conferma felice dell’estro espressivo smisurato di Wes Anderson, uno dei più grandi autori contemporanei, che riesce con questo nuovo meraviglioso tassello della sua filmografia a traghettare l’animazione stop-motion in un isola felice, dove allontanata dallo stereotipo del cinema per famiglie, dimostra tutte le peculiarità espressive di una tecnica magica, che permette di dare vita a mondi strabilianti, tangibili ( cosa che l’animazione 2D e 3D non riescono a fare) e proprio per questo  a volte appare perturbante.

Sommario

L'Isola dei Cani è la conferma felice dell’estro espressivo smisurato di Wes Anderson, uno dei più grandi autori contemporanei, che riesce con questo nuovo meraviglioso tassello della sua filmografia a traghettare l’animazione stop-motion in un isola felice, dove allontanata dallo stereotipo del cinema per famiglie, dimostra tutte le peculiarità espressive di una tecnica magica, che permette di dare vita a mondi strabilianti, tangibili ( cosa che l’animazione 2D e 3D non riescono a fare) e proprio per questo  a volte appare perturbante.
Stefano Bessoni
Stefano Bessonihttps://www.stefanobessoni.com/
Stefano Bessoni è un regista, illustratore e animatore stop-motion italiano.

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