Mandibules, recensione del film di Quentin Dupieux #Venezia77

mandibules

Film da festival. Il parigino Quentin Dupieux, alias Mr.Oizo per gli appassionati di musica elettronica, è uno di quegli autori capace, più di molti altri, di interpretare il senso di una manifestazione cinematografica e di realizzare lungometraggi che rappresentano guilty pleasure per gli appassionati di cinema d’autore.

 

Mandibules, la trama

Nel caso di Mandibules, presentato fuori concorso alla 77esima Mostra del Cinema di Venezia, la sua visione surreale e i suoi concetti estremi, tuttavia molto semplici e immediati, si materializzano sullo schermo nella rappresentazione di un insetto gigante. Jean-Gab (David Marsais) e Manu (Grégoire Ludig) , sempre alla ricerca di trovare il modo di sopravvivere e di sbarcare il lunario, trovano accidentalmente una mosca enorme nel bagagliaio di un’auto. Senza scomporsi, dopo un attimo di perplessità, pensano di ammaestrarla per poi farla esibire per guadagnare molti soldi.

Il film si gioca tutto fra il rapporto fra i due e la loro “gallina dalle uova d’oro”. In questo road movie surreale (Jean-Gab e Manu devono portare a termine una missione) emerge la sincerità dell’amicizia che li lega e l’umanità con cui trattano il mostro. Questi tre personaggi borderline dimostrano di essere più vivi di tutti coloro che incontrano, e in un certo senso ne escono vincenti. La loro esistenza, alla fine, è fatta di espedienti, e ne sono totalmente consapevoli. In Mandibules, Dupieux, utilizza il suo humor dell’assurdo per mettere in scena situazioni paradossali mai scontate, coincidenze e incontri casuali, in 77 minuti che si rivelano la durata perfetta per evitare l’esagerazione.

Oltre ai due bravissimi protagonisti, e alla mosca degna di un film scifi anni ’50, a tenere la scena è Adèle Exarchoupoulos (La vita di Adèle), nella parte di Agnes, una ragazza impossibilitata a moderare il tono di voce a causa di un incidente sugli sci. Sempre perché il mondo più reale è quello ai confini.

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