Nauta: recensione del film con Luca Ward

Nauta

Nauta, film statico ed estetico. Un’opera, quella del regista Guido Pappadà, sul sogno, con una struttura lineare atta a dare spazio alle immagini, tutte giocate sui toni del giallo e del blu. Bruno, circa quarant’anni, antropologo e professore universitario, grazie alla telefonata di Paolo, un vecchio amico, apprende che sull’isola di La Galite si è verificato uno straordinario fenomeno naturale. Risvegliatosi dallo stato di apatia in cui è caduto per la crisi con l’amatissima moglie Sara, mette insieme una spedizione, che parte alla volta dell’isola alla ricerca della perfetta armonia tra l’Uomo e la Natura. Durante la traversata, su uno splendido e antico yacht a vela, le anime della compagnia, dopo un primo momento di diffidenza, si sveleranno.

Nauta, il film

Nauta è  un film on the road, o meglio “on the sea”, dal finale romantico. Un estetismo curato nei minimi dettagli a scapito, purtroppo, di un mancato approfondimento di alcuni temi, esaminati con troppa superficialità. La New Age è trattata come un prodotto da supermercato, il rapporto tra Uomo e Natura non viene approfondito e alla nuova consapevolezza non ci si arriva attraverso questo legame, ma attraverso una solitudine catartica.

Il regista napoletano, alla sua opera prima, gioca molto con la differenza tra notte e giorno, luce e oscurità. La notte, onirica e immaginifica, è consacrata all’incontro di queste anime inquiete che popolano lo yacht. All’oscurità è legata l’empatia, il contatto profondo tra esseri umani. La sensualità e la delicatezza delle tenebre sono bruscamente interrotte dall’accecante e fastidiosa luminosità del giorno. Il buio tende a nascondere le miserie umane, al contrario la luce le illumina in maniera quasi pornografica.

Gli attori, attraverso il proprio personaggio, ben riproducono i limiti della società moderna, primo fra tutti il rifiuto di sentire anche il minimo dolore, l’incapacità di rimanere nell’attrito, di mettersi in discussione e di abbandonarsi alla relazione con se stessi. La più difficile da sostenere.

Pappadà cerca, attraverso un finale romantico, ma un po’ banale, di risvegliare una consapevolezza verso questi difetti ponendo l’accento sull’importanza di non perdere la capacità di sognare e sulla necessità di una continua ricerca dell’armonia.