Roma: Una scuola alla deriva (La scuola è finita)

 

Non si tratta solo del titolo del nuovo film di Valerio Jalongo, ma di una realtà. La scuola, la sua rilevanza come guida nel percorso della crescita dell’alunno è finita. Il regista ieri mattina al Festival di Roma ci ha presentato il suo nuovo film in concorso al festival, per il qualeha osservato e raccolto, storie e testimonianze in un video diario, dal primo appello all’ultimo giorno di scuola, per tre anni, per tentare di capire il motivo per cui tra bocciature e abbandoni più di un terzo degli studenti si perde per strada e non arriva mai al diploma.

Jalongo, anche lui professore, ci mostra dei ragazzi che non hanno ambizioni, sono disillusi fin dall’adolescenza, spenti, apatici,anestetizzati dalla tv, dalla play-station e dai computer. Non leggono, non comprano i libri di testo, sono menefreghisti, “la generazione più cinica che conosca”.
Ma la colpa non ricade solo sui ragazzi, anche sui docenti che insegnano controvoglia, sono frustrati, spesso hanno visto abortite le loro vocazioni e si sono ritrovati a fare i professori come ripiego.”Questi ragazzi sono immersi in una scuola in cui è assente l’entusiasmo, è noiosa, mentre dovrebbe insegnare la gioia della conoscenza, della cultura. Si tratta di un circolo vizioso: gli insegnanti hanno perso prestigio sociale, sono annoiati e disillusi, di conseguenza si esprimono ai ragazzi senza passione. I miei personaggi hanno se non altro il merito di non essere impassibili”.
Daria (Valeria Golino) e Aldo (Vincenzo Amato) sono due persone che stanno vivendo un periodo particolarmente difficile nella vita privata, entrambi sono in procinto di divorzio, e sono i professori dell’istituto Pestalozzi in cui è ambientato il film (in onore del grande pedagogo svizzero che metteva al centro del processo educativo la crescita emotiva e morale dei ragazzi: “Nessun apprendimento vale qualcosa se gli togli la gioia”).
I due professori all’apparenza anche loro frustrati e annoiati, colgono in Alex (Fulvio Forti) un motivo per ridestarsi, per rimettersi in gioco cercando di recuperarlo, Daria attraverso l’affetto e Aldo attraverso la musica.
Alex è un ragazzo con genitori assenti, la madre (Antonella Ponziani) lo abbandona a se stesso, non lo ascolta né aiuta, e lui reagisce drogandosi, spacciando pasticche.
“Non chiamatelo difficile – afferma Jalongo- perché di ragazzi come lui ce ne sono molti, senza mancanza di punti di riferimento”. I due professori tentano di recuperarlo, ma alla fine a causa della fragilità nella loro vita privata e della mancanza di un sostenimento da parte dell’istituzione scolastica, finiscono per oltrepassare la linea di demarcazione che divide i due mondi quello dei professori da quello degli alunni, incorrendo nella sospensione scolastica.
“Eppure Daria mi piace – dice la Golino – Quella gioia lei ce l’ha, ma si lascia coinvolgere troppo e sbaglia. Mi sarebbe piaciuto avere una professoressa come lei a scuola”.
Valerio Jalongo assicura “Tutto quello che vedete nel film, dalla droga al sesso, è reale. Ho voluto raccontare una verità che vi potrà anche sembrare esagerata, ma è autentica e deriva da una ricerca approfondita.”
“La droga nelle scuole – continua il regista – è molto tollerata. I professori vedono gli studenti spacciare nei corridoi ma lasciano passare tutto.”
“E poi le aule sporche, vecchie, alla deriva sono reali. I professori e gli alunni sono costretti ogni giorno a viverci dentro. L’estetica della scuola rappresenta il distacco di una comunità che non si riconosce in quel luogo e quindi lo distrugge.”
L’intenzione del regista non è quella di fare un film sociologico ma di raccontare un percorso interiore di liberazione che però non trova soluzione nel finale, perché non è la storia di un ragazzo ma di tutta una generazione incompresa, delusa e demotivata.

Di fondamentale importanza dunque il tema di questo film; la scuola e più in generale la cultura, forniscono i mezzi per crearsi un futuro, per evolvere nella vita e per convivere civilmente in una comunità. Senza, si cresce disillusi ed egoisti, chiusi a riccio in noi stessi perché abituati a lottare contro tutto e tutti per reazione al senso di abbandono.
Infatti, conclude la Golino ,“vi è una parentela evidente tra questo film e la protesta degli addetti al cinema che hanno occupato il redcarpet, sono figlie entrambe dello stesso malessere”.
Senza scuola, senza cultura, la vita è finita.

 

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