Il 23 marzo
2011 durante il tour promozionale per l’album All You
Need, la celebre band inglese dei Duran Duran
chiese al visionario regista David Lynch di
dirigere la diretta streaming del loro spettacolo al Mayan Theater
di Los Angeles. Da questo inusuale connubio ha preso vita
Duran Duran Unstaged, un docu-film fuori
dagli schemi presentato in anteprima mondiale al Festival
di Cannes 2013 e ora pronto ad approdare anche in Italia grazie
alla rassegna Woovie Night curata da
QMI, terzo appuntamento dell’ambizioso progetto
cine-musicale American Express
Unstaged.
Partendo dalla grande eredità di
sperimentazione dei videoclip anni ’80 che hanno reso famoso il
gruppo capitanato da Simon Le Bon e Nick
Rhodes, unendo il suo gusto eccentrico e surreale, Lynch
torna dopo più di sei anni di completa inattività con un prodotto
sicuramente ambizioso ma che non riesce a convincere fino in fondo
e che lascia a tratti molto perplessi riguardo alle scelte non
sempre azzeccate. Da un punto di vista estetico la pellicola si
divide su due livelli: un sottofondo di immagini in bianco e nero
che ritraggono in live le performances della band a cui si aggiunge
un secondo strato in sovrimpressione su cui scorre tutto un
universo psichedelico fatto di disegni animati, colonne di fumo,
luci stroboscopiche e addirittura piccoli sketch e microstorie
realizzate d attori in puro stile non sense.
La prestazione musicale è
poi di altissimo livello, a dimostrare la grandezza di un gruppo
che ha cambiato totalmente il panorama New wave e che
ancora oggi è in grado di emozionare, grazie soprattutto al
terzetto composto da Le Bon, Rhodes e i fratelli Taylor, oltre ai
numerosissimi ospiti che si susseguono durante lo show e che
contribuiscono ad alzare alle stelle il livello di emozione e la
qualità delle performances, in un misto di nostalgia retrò e
sguardo contemporaneo. In tutto ciò però quello che stona è proprio
l’intervento di Lynch, il quale sembra non essere molto a suo agio
con il videoclip musicale (specie se live), tant’è che i
suoi interventi visivi appaiono completamente incoerenti e fuori
luogo, un’accozzaglia di immagini e stimoli senza una loro idea di
fondo. È logico che da un regista visionario come Lynch la coerenza
sia l’ultima delle qualità da ricercare, ma la sensazione generale
è che tali contenuti siano inseriti senza un vero progetto, senza
una qualche forma di aggancio col contenuto dello show. La stessa
scelta della sovrimpressione poi alla lunga, oltre a stancare il
pubblico, appare alquanto retrò e in un certo qual modo ingenua, se
la si prova a paragonare con ben altri risultati ottenuti da alcuni
“colleghi” visionari come Gondry o
Gilliam.
L’idea finale è dunque un prodotto bipolare, una pellicola che farà tremare dall’entusiasmo i fans della band britannica ma che lascerà forse un poco delusi ed attoniti i sostenitori di un regista di culto da troppo tempo inattivo. Ma se questo deve essere il suo ritorno, forse meglio attendere ancora un poco.