El Club recensione del film di Pablo Larrain

Quattro uomini vivono in una casa sperduta su di una costa del sud del Cile, dove il sole sembra apparire una volta all’anno. Le loro attività includono bere vino, guardare la televisione e allenare un levriero per le corse. I quattro sono dei preti inviati in reclusione in quel luogo a causa delle loro azioni disdicevoli. La loro quotidianità verrà sconvolta dall’arrivo di un quinto clerico, seguito dal suo passato. Questo innescherà un processo di revisione della vita del gruppo.

 

Pablo Larrain è uno dei migliori registi in circolazione. Questo è il suo quinto film, che solo apparentemente si discosta dalla trilogia della dittatura, costituita da Tony Manero, Post-Mortem, e No. Tutti film che analizzavano, senza metterla in primo piano, la dittatura di Pinochet, attraverso gli effetti che questa aveva sulla gente comune. La solita banalità del male.

Il volto che accomunava questi tre episodi e che è presente anche in questo film, è quello di Alfredo Castro, che in tutte e tre le pellicole è un uomo apparentemente semplice ma che non riesce a distaccarsi dal male, rappresentato dalla dittatura, nei primi tre film, e dalla perversione in questo.

Presentato allo scorso festival di Berlino, dove ha vinto l’Orso d’argento, El club narra le vicende e l’indagine su quattro uomini corrotti dalle loro stesse pulsioni, che non riescono ad inquadrare il male che è dentro di loro. Ogni loro azione è volta a sfruttare il prossimo per il proprio piacere, nonostante, a causa dell’abito talare che hanno deciso di indossare, la missione dovrebbe essere l’opposto.

La rarefazione di questa realtà reclusa, in un club esclusivo sul bordo del niente, è ben fotografata da Sergio Armstrong, che inserisce i protagonisti in una specie di nebbia.

Unica interprete femminile, la moglie del regista, Angela Zegers, nel ruolo della perpetua che custodisce i segreti dei quattro preti, strenuamente contro l’indagine dell’inviato della Chiesa, Garcia.

Come nei film precedenti, il male agisce impunemente. E chi lo commette non si rende conto dell’entità di ciò che fa, mentre esiste un ordine superiore, in questo caso la Chiesa, che, messo in imbarazzo dall’evidenza di queste azioni, che per curare, preferisce cancellare, escludere, piuttosto che educare e riparare.

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