Main dans la Main: recensione del film di Valérie Donzelli

Main dans la Main

Dopo La guerra è dichiarata, film in cui Valérie Donzelli narrava con toni da commedia la lotta (vinta) contro la malattia del figlio di appena 18 mesi, la regista si dedica alla commedia pura.

 

In Main dans la Main Helene è un’insegnante di danza della prestigiosa Opera di Parigi, è una bella donna più sui cinquanta che sui quaranta; Joakim vive nella provincia con la sorella Vero e fa il vetraio. Un giorno i due si incontrano e si baciano. Da quel momento nulla li può separare, vivono, dormono e mangiano insieme, non si conoscono, ma si copiano, ognuno muovendosi come l’altro. Insieme a loro abita Constance, amica squattrinata e poco costante di Helene, mentre Joakim ha un rapporto controverso ma indissolubile con la sorella Vero.

Sulla scia di una certa tendenza del cinema francese, che pende per la commedia da qualche anno a questa parte (è successo anche al nostro cinema, quindi è possibile che i “cugini” siano stati contagiati), la Donzelli crea una storia a tratti sopra le righe con rimandi a molto cinema del passato, con alcune chicche cinefile come ad esempio i riferimenti alla Nouvelle Vague e a Truffaut in particolare, fino al cinema americano un po’ surreale, appunto,  di Wes Anderson,  ricordato nelle inquadrature simmetriche dedicate ai due personaggi. Main dans la Main poi racconta più di una storia d’amore, e del comportamento delle persone rispetto ad esso. Ovviamente,  in primo piano c’è il rapporto tra una donna matura ed ragazzo di dieci anni più giovane di lei, ma al fianco di questa ci sono l’amore, materializzato nell’amicizia con l’amica Constance, e il rapporto intenso e teso di Joakim con la sorella Vero.

Main dans la MainPer alcuni aspetti, però, tutto questo interlacciare rapporti crea invece mancanze e solitudini, i personaggi sono alla fine soli, anche se inseparabili. La regista si è lasciata molte libertà nella creazione delle immagini e delle inquadrature, la storia si mescola continuamente con immagini oniriche, sequenze sgranate date dalla pellicola Super8, sovrimpressioni, e virtuosismi interessanti che però in alcuni casi possono far distogliere l’attenzione dalla storia, se si cerca appunto il senso di una storia.

L’impressione è in effetti che la regista sfrutti l’idea più vecchia del mondo, la storia d’amore,  come trampolino per sperimentare con le immagini e le sequenze, come per creare delle sensazioni  relative alla storia raccontata piuttosto ch a raccontare la stessa. Quindi, il fuoco si sposta da ciò che accade ai protagonisti, e lo scorrere del tempo c’è dato solo dall’aggravarsi della malattia di uno di loro, a quello che i protagonisti provano, alla libertà che cercano , per loro stessi e nel loro rapporto. A dimostrazione di ciò, parte del film è girato a New York, terra del sogno e soprattutto o, perlomeno sulla carta, della libertà.

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