Gianclaudio Cappai con Senza lasciare traccia esordisce alla regia di un lungometraggio (dopo il successo del pluripremiato cortometraggio Purché lo senta sepolto e del mediometraggio So che c’è un uomo) dimostrandosi un regista sicuro della sua mano e delle sue sconfinate capacità, che lo portano a realizzare un microcosmo affascinante fatto di atmosfere inquietanti e claustrofobiche come prigioni, servendosi dello spazio come limite ma anche come possibilità, come luogo in cui sviscerare tutta la rabbia, sentimento che muove i fili del racconto e smuove le intenzioni dello stesso protagonista.

 

In Senza lasciare traccia la malattia di Bruno lo sta consumando lentamente. Una malattia che ha origini lontane, legate ad un passato di cui l’uomo non ha mai parlato con nessuno, neanche con sua moglie Elena. Ma un giorno Bruno avrà l’occasione di tornare nel luogo dove tutto è iniziato e trovare così un colpevole, guardando finalmente in faccia l’origine del suo male e provando così a fermare l’intruso che è dentro di lui.

Senza lasciare traccia, il film

Con Senza lasciare traccia Cappai si inserisce in un filone di genere ben preciso, mettendo in scena un noir italiano sulla vendetta e sulla necessità che l’essere umano ha trovare necessariamente un colpevole, un capro espiatorio su cui riversare tutto il suo malessere (specchio indiscusso della società in cui viviamo). Se il regista si dimostra estremamente abile nella costruzione della tensione e nella direzione degli attori, a mano a mano che la storia si sgretola in un’ossessivo bisogno di catarsi, si palesa più di un’incertezza dal punto di vista della scrittura: le motivazioni dei personaggi non sono sviluppate in maniera adeguata e giunti ormai al finale, una volta usciti dalla fornace in cui Cappai intrappola non solo i protagonisti ma anche lo stesso spettatore, si ha come una sensazione di incompiutezza che stona decisamente con le premesse iniziali.

Il lavoro di Cappai viene comunque supportato da un cast di interpreti di altissimo livello, tra cui spiccano un Michele Riondino straordinario nel delineare (anche fisicamente) un uomo logorato dentro e fuori, prigioniero delle sue ossessioni e schiavo dell’ingiustizia e dello spauracchio della morte. Lo affiancano due ottime controparti femminili (Valentina Cervi e Elena Radonicich) e un Vitaliano Trevisan (l’ex cacciatore di anoressiche in Primo Amore) tanto minaccioso nel volto quanto criptico nelle intenzioni, incredibile e talentuoso come sempre.

Giancarlo Cappai porta sullo schermo un racconto cinematograficamente interessante sulla rabbia e sul rancore, sorretto da un cast di attori bravissimi che lo stesso regista dimostra di sapere dirigere con piglio sicuro. Una messa in scena potente e un comparto artistico superbo che, sfortunatamente, non trovano nella scrittura una degna alleata. Per essere un esordio, l’esame è quindi superato… anche se non ha pieni voti.

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