Regia: Peter Chelsom
Cast: John Cusack (Jonathan Trager), Kate Beckinsale (Sara Thomas), Jeremy Piven (Dean Kansky), Eugene Levy (commesso), John Corbett (Lars Hammond), Molly Shannon (Eve)
Trama: Le vite dell’americano Jonathan e dell’inglese Sara si incrociano in un grande magazzino di New York a Natale. Giovani e carini, entrambi mettono gli occhi su un paio di guanti da regalare ai rispettivi partner. Scocca la scintilla: giusto seguirla? Sara è convinta che sarà il destino a decidere se dovranno rincontrarsi. Si dividono, tornano alle loro vite. Ma qualche anno più tardi, ecco che una serie di tracce e le pieghe della vita fanno sì che i due, che non si sono più visti né sentiti, riprendano a pensarsi e cercarsi. Jonathan è a un passo da un matrimonio apparentemente da sogno, Sarah è una professionista realizzata, fidanzata con un musicista New Age di successo. Il destino chiama gli innamorati, difficile non ascoltarlo.
Analisi: Un’ora e
venti di romanticherie che scorrono senza troppo impegno sui
concetti di Destino e Serendipità (trovare qualcosa mentre di sta
cercando altro: nel film, trovare l’Amore, cercando regali di
Natale), benché un certa superficialità sia concessa a una semplice
commedia sentimentale. Non indimenticabile, ma nemmeno da buttare.
I due protagonisti (Cusack e Beckinsale), soprattutto lei, sono
chiamati a una recitazione quasi costantemente agitata e sopra le
righe. Molto meglio gli elementi di contorno, che danno brio e
originalità. Su tutti l’irresistibile commesso interpretato da
Eugene Levy (il mitico papà Levenstein di
American Pie), che si ritaglia un
importante ruolo di “aiutante” dell’innamorato Jonathan,
tormentando quest’ultimo con il suo folle mix di stachanovismo,
stizza e senso degli affari. Non sono da meno Lars Hammond
(John Corbett), il musicista New Age che sta con
Sarah, villoso flautista che manda in visibilio pubblici di mezzo
mondo, né Eve (Molly Shannon), sguaiata
quarantenne amica della Beckinsale che finge interessi Flower Power
e Bio per tenere su una baracca londinese tutta incensi, thè in
foglie e manualetti profumati d’Oriente. Spassoso personaggio
secondario è anche il fedelissimo scudiero di Trager, Dean
(Jeremy Piven), orgoglioso del suo lavoro al
mitico New York Times, dove però, si scopre, ha tra le mani più che
altro un sacco di necrologi: e da vero amico, lascia indietro
qualche accorato saluto a noti estinti per aiutare Jonathan
nell’indagine che lo ricongiunge a Sara.
Si può guardare un film per il contorno, visto che vale più del nocciolo? Probabilmente sì, ma con un po’ di fatica. Perché il discorso sul Destino non è soltanto superficiale (ma forse è superficiale l’idea stessa di Destino), ma spinge i belli di turno, e con loro il film, in indesiderati spazi tra il finto filosofico e la caccia al tesoro. Magari chi ama i film romantici non chiede certe cose, ma si accontenta che la complessità la faccia – ne è ben capace – la presenza dell’Amore, con tutte le sfide che pone agli individui, su tutte il saper mollare ogni tranquillità per seguire il vero fuoco, anche se incontrato (o rincontrato) a trentacinque anni suonati, con un matrimonio in calendario, tanta stabilità, genitori felici, suoceri illuminati e una bellissima sposa. Tutto questo c’è, in Serendipity, ma fa il paio con la fragile e a tratti fastidiosa base “concettuale” dell’intero film di Peter Chelsom. Senza, è chiaro, sarebbe un’altra cosa, con un altro titolo.