Serendipity quando l’amore è magia recensione

serendipity posterAnno: 2001

 

Regia: Peter Chelsom

Cast: John Cusack (Jonathan Trager), Kate Beckinsale (Sara Thomas), Jeremy Piven (Dean Kansky), Eugene Levy (commesso), John Corbett (Lars Hammond), Molly Shannon (Eve)

Trama: Le vite dell’americano Jonathan e dell’inglese Sara si incrociano in un grande magazzino di New York a Natale. Giovani e carini, entrambi mettono gli occhi su un paio di guanti da regalare ai rispettivi partner. Scocca la scintilla: giusto seguirla? Sara è convinta che sarà il destino a decidere se dovranno rincontrarsi. Si dividono, tornano alle loro vite. Ma qualche anno più tardi, ecco che una serie di tracce e le pieghe della vita fanno sì che i due, che non si sono più visti né sentiti, riprendano a pensarsi e cercarsi. Jonathan è a un passo da un matrimonio apparentemente da sogno, Sarah è una professionista realizzata, fidanzata con un musicista New Age di successo. Il destino chiama gli innamorati, difficile non ascoltarlo. 

Analisi: Un’ora e venti di romanticherie che scorrono senza troppo impegno sui concetti di Destino e Serendipità (trovare qualcosa mentre di sta cercando altro: nel film, trovare l’Amore, cercando regali di Natale), benché un certa superficialità sia concessa a una semplice commedia sentimentale. Non indimenticabile, ma nemmeno da buttare. I due protagonisti (Cusack e Beckinsale), soprattutto lei, sono chiamati a una recitazione quasi costantemente agitata e sopra le righe. Molto meglio gli elementi di contorno, che danno brio e originalità. Su tutti l’irresistibile commesso interpretato da Eugene Levy (il mitico papà Levenstein di American Pie), che si ritaglia un importante ruolo di “aiutante” dell’innamorato Jonathan, tormentando quest’ultimo con il suo folle mix di stachanovismo, stizza e senso degli affari. Non sono da meno Lars Hammond (John Corbett), il musicista New Age che sta con Sarah, villoso flautista che manda in visibilio pubblici di mezzo mondo, né Eve (Molly Shannon), sguaiata quarantenne amica della Beckinsale che finge interessi Flower Power e Bio per tenere su una baracca londinese tutta incensi, thè in foglie e manualetti profumati d’Oriente. Spassoso personaggio secondario è anche il fedelissimo scudiero di Trager, Dean (Jeremy Piven), orgoglioso del suo lavoro al mitico New York Times, dove però, si scopre, ha tra le mani più che altro un sacco di necrologi: e da vero amico, lascia indietro qualche accorato saluto a noti estinti per aiutare Jonathan nell’indagine che lo ricongiunge a Sara. Serendipity

Si può guardare un film per il contorno, visto che vale più del nocciolo? Probabilmente sì, ma con un po’ di fatica. Perché il discorso sul Destino non è soltanto superficiale (ma forse è superficiale l’idea stessa di Destino), ma spinge i belli di turno, e con loro il film, in indesiderati spazi tra il finto filosofico e la caccia al tesoro. Magari chi ama i film romantici non chiede certe cose, ma si accontenta che la complessità la faccia – ne è ben capace – la presenza dell’Amore, con tutte le sfide che pone agli individui, su tutte il saper mollare ogni tranquillità per seguire il vero fuoco, anche se incontrato (o rincontrato) a trentacinque anni suonati, con un matrimonio in calendario, tanta stabilità, genitori felici, suoceri illuminati e una bellissima sposa. Tutto questo c’è, in Serendipity, ma fa il paio con la fragile e a tratti fastidiosa base “concettuale” dell’intero film di Peter Chelsom. Senza, è chiaro, sarebbe un’altra cosa, con un altro titolo.

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