Fahrenheit 451 – recensione del film di François Truffaut

Fahrenheit 451

Fahrenheit 451 è un film el 1966 di François Truffaut e con protagonisti nel cast Oskar Werner, Julie Christie, Cyril Cusack. Basato sull’omonimo romanzo Ray Bradbury.

 


Anno:
1966

Regia: François Truffaut

Cast: Oskar Werner, Julie Christie, Cyril Cusack

Fahrenheit 451In una società ambientata in un futuro imprecisato, Guy Montag (Oskar Werner) svolge con rettitudine ed estrema diligenza il suo lavoro di pompiere. Ma in questa strana società il pompiere non doma gli incendi bensì li genera…con i libri. Un dispotico e onnipresente governo totalitario ha bandito il diritto di leggere, la lettura è un reato e possedere libri porta all’arresto. Montag esegue gli ordini senza porsi domande fino a quando la conoscenza di una simpatica e affascinante ragazza, Clarisse (Julie Christie), non gli aprirà gli occhi facendogli comprendere l’assurdità della legge. Il protagonista non potrà più accettare una vita senza libertà e soprattutto senza conoscenza realizzando che l’unico scopo del governo è quello di controllare e condizionare le vite di ognuno spacciando una felicità falsa e solo apparente.

E’ il 1966 quando Francois Truffaut dirige questo splendido film tratto dal celebre ed omonimo romanzo di Ray Bradbury. Facendo uso della sua solita e comprovata capacità registica Truffaut traspone per il grande schermo una storia che rimane molto fedele al romanzo che già aveva raccolto un grande successo editoriale.

Fahrenheit 451 è un film angosciante che trasmette una certa inquietudine allo spettatore mostrando un’ipotetica società del futuro dove le parole, le lettere e quindi qualsiasi documento scritto, che sia un romanzo, un saggio o un fumetto, è severamente proibito.

La televisione, una televisione invadente e che interagisce con lo spettatore in ogni momento della sua giornata, è l’unico media permesso avendo il preciso scopo di guidare le coscienze. La società descritta nel romanzo e quindi nel film non è altro che l’estremizzazione della società occidentale, la società consumistica e omologante che tanto era avversata dagli intellettuali degli anni ’60.

Fahrenheit 451 è un film angosciante

Francois Truffaut, come detto, non apporta grandi modifiche alla storia narrata nel romanzo ed utilizza pregevoli artifici tecnici che conferiscono, in determinate sequenze, una straordinaria intensità e forza visiva oltre che emotiva. Non da sottovalutare gli effetti speciali che, considerato il periodo, non sono certo da poco ma quello che più rimane e colpisce è la capacità di Truffaut di cogliere l’inquadratura giusta al momento adatto, di focalizzare l’emozione che riassume il momento trovando sempre l’elemento chiave.

Diverse sequenze rappresentano momenti di grande cinema che sono rimasti nell’immaginario collettivo come la scena in cui un’anziana donna decide di martirizzarsi in mezzo ai suoi libri preferendo un simbolico autodafè all’arresto oppure la commozione che il protagonista prova nel leggere le prime righe di David Copperfield.

Molto bravo Oskar Werner nell’interpretare il protagonista del film che ad un atteggiamento freddo ed inespressivo iniziale sostituirà poi una costante e crescente inquietudine; brava anche la bella Julie Christie che si sdoppia nella parte della catatonica moglie di Montag, tipico prodotto del sistema, e del suo alter-ego, la giovane e ribelle Clarisse.

La Christie è indubbiamente il tocco più francese di un film che Francois Truffaut ha stranamente girato in Inghilterra, vicino a Londra, e che nelle ambientazione risulta vagamente differente ai suoi soliti canoni stilistici. Qui infatti egli abbandona le sue tipiche scenografie parisien per proporre qualcosa che riporta in qualche modo alle ambientazioni più simili ai film di Kubrick, se si può azzardare un parallelismo.

In ogni caso Fahrenheit 451 è indubbiamente uno dei suoi lavori migliori in cui con grande sottigliezza si mette in guardia l’uomo occidentale verso i pericoli a cui può portare una cultura di massa dove lo scopo dei media è proprio quello di eliminare le diversità, le differenze di pensiero, omologando l’uomo-prodotto nella convinzione di un benessere solo superficiale. I “libri” fanno paura perché suscitano emozioni, inducono a riflettere e a pensare e soprattutto portano conoscenza.

A oltre quarant’anni di distanza si direbbe che questi pericoli siano ancora minacciosamente attuali.

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