American Horror Story: Asylum 2×04 – recensione

Horror: genere cinematografico caratterizzato dalla presenza di scene ed eventi finalizzate a suscitare nello spettatore emozioni di orrore, paura e disgusto.

Così parlò wikipedia e il commento di questo episodio ruoterà attorno alla definizione di horror e alla nuova chiave di lettura che Murphy ha deciso di conferirgli. Preda del randomismo puro e giusto perché c’era già poca gente, al Briarcliff arriva una nuova paziente che afferma di essere nientepopodimeno che: Anne Frank, morta solo nell’immaginario collettivo per assurgere a ruolo di simbolo contro i crimini verso l’umanità che il nazismo ha provocato. La novella Frank accusa il Dottor Arden di essere un criminale di guerra nazista e Sister Jude comincia ad avere dei sospetti quando due detective della omicidi si presentano per interrogare Arden in merito all’aggressione subita dalla prostituta (due episodi fa). Nel mentre Kit scopre che la fidata Grace non è così pura come dice di essere ed emerge il vero motivo per cui è stata internata al Briarcliff, cosa che comincerà a farlo dubitare della sua salute mentale; Lana, dal canto suo, decide di affidarsi alle amorevoli cure del dottorino interpretato da Quinto e di dichiararsi pronta alla “guarigione” dalla propria omosessualità pur di uscire dal manicomio.

Senza andare troppo nello specifico e trasformare questo commento in un riassunto, questo è ciò che accade nel quarto episodio di American Horror Story Asylum diviso in due parte: I am Anne Frank pt.1 e I am Anne Frank pt.2 Dopo quattro episodi risulta davvero difficile capire quale sia la direzione che Murphy & co. hanno deciso di intraprendere, quale sia il vero filo conduttore della stagione e, sostanzialmente, in cosa si incarni l’horror.

Accantonata momentaneamente la questione Bloody Face, dimenticati gli alieni e messa da parte la posseduta Mary Eunice, il serial introduce un altro importante storyline (4 in 4 episodi): quello dell’olocausto. Bolle davvero troppa roba in pentola per capire di fronte a cosa ci si trova, è come se Murphy, in questa nuova stagione dell’antologia degli orrori americani, avesse voluto prendere l’accezione horror nel senso più ampio del termine e l’avesse voluta ripiegare sull’essere umano e sugli orrori di cui è capace. I crimini di guerra di cui Arden è responsabile spiegano il suo comportamento sadico e i trattamenti che riserva ai propri pazienti (in ultima la povera ninfomane, ridotta oramai a poco più che un moncherino ambulante che invoca la pietà di Anne Frank chiedendole di ucciderla) mentre il trattamento psicologico a cui viene sottoposta la povera Lana come “cura dall’omosessualità” risulta, per estremo realismo delle scene e pensando che quel genere di cure erano davvero usati all’epoca, a dir poco disturbing.

Il cast rimane l’unica certezza, con le conferme della prima stagione che si rivelano essere delle scommesse vincenti e con una grandissima Lily Rabe, vera scoperta di Asylum.

Il problema di questa seconda stagione rimane la via per nulla chiara che il serial dovrebbe intraprendere: mentre la prima stagione giocava e strizzava l’occhio ai cliché del genere ponendo al centro della narrazione un nucleo ristretto di personaggi, mantenendo viva la plausibilità delle vicende non paranormali e permettendo l’identificazione comportamentale nei vari personaggi, con Asylum Murphy sembra aver voluto sparare un po’ troppo in alto caricando di hype una serie da cui ci si aspettava tanto, ma non così tanto.

Anne Frank rediviva e agente di un gruppo simile a quello di Wiesenthal? Seriously?  Stiamo ancora parlando di un horror o di un crime ambientato nel dopoguerra?