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La seconda puntata di Homeland (Sorvegliato speciale) continua a modellare la coltre di mistero che avvolge il sergente Brody e inserisce nel racconto nuovi personaggi e spunti narrativi. Il marine è tormentato dagli incubi e ha comportamenti strani, è molto chiuso, si rifiuta di avere contatti con la stampa, diversamente da quanto vorrebbero il vicedirettore Estes, il governo, i vertici dell’esercito, ansiosi di edificare un eroe nazionale; all’amico Mike, che lo invita a comportarsi come la nazione si aspetta in modo da averne un tornaconto, Nicholas risponde bruscamente che il suo unico interesse è recuperare il rapporto con la sua famiglia. Carrie continua a sorvegliare il militare: l’uomo ha molti comportamenti anomali ma, come Saul Berenson fa notare all’agente interpretata da Claire Danes, si tratta delle prevedibili conseguenze di una lunga prigionia. Berenson ha rimediato per Carrie l’autorizzazione per proseguire nella sorveglianza per quattro settimane: se c’è qualcosa da scoprire, dovrà farlo in questo breve lasso temporale. Intanto, il mentore dell’agente Mathison viene informato dai crittografi che i movimenti delle dita di Brody non sembrano riconducibili a un codice: Saul li invita a insistere. La situazione si carica di un nuovo elemento: un’informatrice di Carrie, l’escort Lynn Reed (Brianna Brown), s’incontra con l’agente della CIA per rivelarle d’aver visto Abu Nazir nella dimora del principe Farid Bin Abbud (Amir Arison), al quale Lynn offre i propri servigi. Carrie pensa che questa apparizione di Nazir debba essere legata al ritorno di Brody in patria; su ordine di Estes, la Mathison consegna alla escort una scheda da inserire nel Blackberry del principe, per esplorarne i dati.

 
 

Verso la fine dell’episodio, il sistema di camere e cimici con cui è stata tappezzata la casa del sergente rivela una fondamentale debolezza: il garage dell’abitazione è rimasto intonso, nessun occhio elettronico lo restituisce ai monitor nel salotto di Carrie. E quando Brody si inoltra in questo spazio, oscuro per Carrie, allo spettatore è concesso averne disponibilità e assistere a uno straordinario evento: il sergente, infatti, all’alba, lasciato il talamo nuziale, si inginocchia verso La Mecca e prega Allah. Poco dopo aver pregato di nascosto e aver dato il buongiorno alla moglie, il sergente, diversamente da quanto fatto nei giorni precedenti, esce in uniforme e si offre ai flash e ai microfoni dei giornalisti famelicamente assiepati attorno alla casa. Saul aveva detto a Carrie che, se Brody fosse stato un terrorista, si sarebbe comportato da mito americano, per ritagliarsi un decisivo vantaggio; la Mathison, vedendo che il sergente sta improvvisamente calandosi in quella veste pubblica tanto desiderata dai media e dall’amministrazione, chiama Saul e gli riferisce che, proprio come aveva detto lui, il sorvegliato “si sta giocando la carta dell’eroe”.

L’episodio giunge al termine – difficile accorgersi che siano passati più di tre quarti d’ora – e i pezzi scivolosi del multiforme mosaico di Homeland sembrano prefigurare disegni dal profilo minaccioso; non resta che aspettare la terza puntata di questa serie raffinata, per capire qualcosa in più, cercare, dubitare.

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