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Homeland, settimo appuntamento. La puntata, intitolata Il weekend e diretta da Michael Cuesta (al terzo gettone), si apre sulle tracce di Aileen Morgan. Ormai sola – il compagno Raqim Fajsel è stato crivellato di pallottole qualche ora prima – la fuggitiva, in prossimità del confine messicano, sale su un pullman per espatriare e farla franca. Tuttavia, la ragazza non è stata mollata un istante dalla CIA; scortato dagli invadenti colleghi dell’FBI, Saul, già in territorio messicano, la prende in consegna. Per Aileen si prospetta un cupo ritorno in patria; Saul, che guida placidamente con la giovane al fianco, attinge a tutta la sua esperienza per toccarne la sensibilità, al fine di renderla collaborativa, promettendo altresì un addolcimento dei provvedimenti a suo danno in cambio di preziose informazioni. Nel frattempo, Carrie e Brody – la Mathison era salita a bordo dell’auto del sergente al termine della sesta puntata – stanno passando del tempo insieme; dopo qualche bevuta e un accenno di rissa in un bar, i due si dirigono verso uno chalet immerso nella natura proprietà della famiglia di Carrie. Tutto fa pensare che nella testa della Mathison – una testa la cui stabilità, come si capisce da una telefonata tra lei e la sorella, la bella agente ha dimenticato di aiutare con le solite pillole – si stiano allontanando i sospetti in favore del sentimento amoroso per Nick. Tuttavia, quando Carrie, appena arrivati alla baita, carica una pistola senza farsi vedere dal marine, diventa evidente come la pista del “convertito” sia ancora viva per il personaggio interpretato da Claire Danes. I due trascorrono intense ore tra carezze, confidenze, sesso e qualche bugia.

 
 

Al risveglio dopo la seconda notte nell’ameno covo amoroso, tutto cambia; Carrie si tradisce, rammaricandosi con Brody perché non può preparargli dello Yorkshire Gold, il thè preferito del sergente, il quale, colta la stranezza, vuole comprendere. L’arrampicata sugli specchi della Mathison dura poco; non può far altro che dire la verità: credendolo un uomo di Nazir, l’ha spiato per più di un mese. Brody è furioso, sente – o, almeno, è quello che dà a vedere – d’esser stato avvicinato e sedotto per esser spiato. “Chiedimi qualunque cosa”, fa il sergente alla Mathison, deciso a smontarne ogni sospetto.

Così, Carrie domanda a Nick se abbia passato la lametta ad Hamid, incassando il no deciso del sergente; poi gli chiede chi sia Issa, un nome che Brody pronuncia durante i suoi incubi: il marine dice che è stato uno dei suoi carcerieri, umano e gentile. La terza domanda è su cosa faccia nel garage di casa, la famosa “zona cieca”: dopo qualche tentennamento, Nick spiega ciò che lo spettatore già sa, cioè che, tra gli attrezzi per il bricolage e i bidoni della spazzatura, prega Allah; negli otto disperati anni di prigionia, ha trovato conforto nell’unico Dio “disponibile”. Anche il movimento delle dita notato da Carrie, come dice l’interrogato, riguarda la fede: è, infatti, il modo con cui Brody sgrana il rosario quando non lo ha a portata di mano. Arrivano poi le domande su Walker, e una sconvolgente – per la Mathison, non per il pubblico, al quale sono stati elargiti generosi flashback nelle puntate precedenti – confessione: è stato lui, Nick, a uccidere il compagno, su ordine di Abu Nazir. Non sfugge a Carrie il fatto che Brody, al debriefing, abbia dichiarato di non aver mai avuto contatti con il leader di Al Quaeda: lo incalza su questo punto, finché il personaggio di Lewis ammette d’aver taciuto la pericolosissima relazione per vergogna, in quanto Nazir è stata l’unica persona a dargli conforto. Vengono in mente i flashback in cui il terrorista offre cibo e acqua al prigioniero americano. Nick nega, ormai con le lacrime agli occhi, di esser diventato un jihadista; ha provato, sì, affetto per il mostro, ma non è stato reclutato tra le file del terrore. L’interrogatorio volge al termine; intanto, il lavoro di Saul su Aileen ha dato frutti.

La ragazza ha cantato: le era stato detto di comprare assieme a Fajsel la casa vicina all’aeroporto e attendere un visitatore. Questi è arrivato e, e per motivi oscuri alla Morgan, si è recato sul tetto. Inviando sul luogo Galvez, Saul ed Estes, in collegamento telefonico, comprendono come il tetto della casa sia il posto ideale per un esperto cecchino intenzionato a sparare in direzione dell’aeroporto. In particolare, in direzione del luogo d’atterraggio del Marine One. Nella mente di Saul balena il sospetto che il misterioso uomo del tetto possa essere Brody, affidabile grilletto dell’esercito americano…ma ecco un colpo di scena: dal lavoro eseguito dal ritrattista seguendo la descrizione di Aileen, non spuntano i tratti ruvidi del sergente; il volto tratteggiato dal lapis è quello del “morto” Tom Walker. Saul chiama Carrie per darle la notizia; il colloquio con Brody è appena terminato e il sergente, sdegnato, è già in auto, in procinto di andarsene. L’agente cerca di fermarlo: ora ha la certezza che il “convertito” sia Walker. Con gli occhi lucidi, Carrie cerca di far capire a Nick quanto i loro due giorni assieme abbiano significato sentimentalmente per lei. Ma è tardi: Brody non le crede, la manda a quel paese e se ne va. Torna, quando ormai è notte, a casa; quella casa in cui, anche approfittando dei due giorni d’assenza di Nick, si sta reinsediando Mike; ciò avviene con il favore di Jessica, che percepisce il distacco di Brody dalla famiglia, e vuole ricucire la relazione, solidificatasi negli anni, con l’ex amico del marito. Nick da un’occhiata ai figli addormentati e alla bella moglie, che si accorge del suo arrivo ma resta immobile sotto le coperte. Al nuovo eroe americano non resta altro da fare che piangere sul divano di casa, straniero tra le pareti domestiche come all’esterno, dove sente di non poter poggiare sulla presenza di Carrie, che pareva avergli offerto un appiglio, una boccata d’aria fresca.

Questo settimo episodio, come i precedenti, offre una cinquantina di minuti che scivolano via con piacere, con una narrazione, come al solito, dedita a stimolare l’attività dello spettatore, la sua capacità di orientarsi nell’universo della finzione. Una piccola sbavatura la si nota relativamente al processo di agnizione di Tom Walker; è curioso, infatti, come Aileen non dica a Saul che l’anonimo visitatore sia un afroamericano, cosa che avrebbe reso da subito impossibile la candidatura di Brody a “uomo del tetto”. Da incorniciare la sequenza in cui Saul, sviluppando la sua morbida strategia d’erosione psicologica, conduce Aileen presso i luoghi ormai abbandonati della sua frustrante infanzia di ragazzino ebreo; più in generale, la linea narrativa che racconta il viaggio di Berenson e Aileen è forse una delle più toccanti e ben modellate che la serie firmata Alex Gansa e Howard Gordon ha fin qui offerto.

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