Homeland 1X08 – recensione

    Come ci ricorda il consueto sommario d’inizio puntata – siamo all’ottava – le energie della CIA, e anche quelle dell’impicciona FBI, sono ora impegnate nella caccia a Tom Walker, e il sospetto su Brody pare essersi legittimamente affievolito. Walker, dato per morto, e la scomparsa del quale è stata confermata da Nick quando ha confessato a Carrie d’aver assassinato il compagno su ordine dei carcerieri, è invece vivo, e lo spettatore ha il privilegio di poterne apprezzare la condizione: il marine passato ad Al Qaeda vive come un barbone, ma dietro i cenci e l’elemosina c’è un potenziale terrorista, una minaccia dormiente in attesa di ordini.

    E l’obolo – una banconota con scritto l’indirizzo di un magazzino e una chiave – che vediamo consegnargli da parte di un misterioso uomo dalle fattezze mediorientali (Ramsey Faragallah), passeggero di un’automobile con targa diplomatica, è un chiaro e temibile innesco. La puntata, diretta da Tucker Gates, si chiama “Tallone d’Achille”; il titolo fa riferimento al punto debole di Walker – la famiglia – su cui gli inquirenti, primo fra tutti Saul, decidono di far leva per trovare l’ex soldato. Ecco come: Saul, analizzando i tabulati telefonici, scopre che verso le otto del mattino, nei giorni feriali – cioè quando Helen Walker accompagna a scuola il piccolo Lucas – Tom Walker telefona a casa sua, restando in silenzio, per ascoltare nel messaggio della segreteria le voci di moglie e figlio; si decide quindi di far rispondere la signora Walker e farla stare al telefono con il marito il tempo necessario per localizzare quest’ultimo, che chiama usando ogni volta un cellulare diverso.

    Mentre viene intessuta questa strategia, in casa Brody le cose cambiano: innanzitutto, Nick torna in famiglia dopo il weekend con Carrie. In secondo luogo, il sergente si riconcilia con la moglie, all’insegna della reciproca comprensione. I due ricevono l’invito alla “festa dell’anno” da parte della potente Elizabeth Gaines, il tentacolo governativo dedito allo sfruttamento in chiave politica dell’eroe di guerra; lo scopo della Gaines e del Partito Democratico è far occupare a Brody il seggio di Richard Johnson (Joe Urla), destinato a restare libero in seguito a un sexy gate che ha toccato il politico. Al party patinato si recano anche Saul e Mira, ormai prossimi alla separazione, con la partenza per l’India della donna alle porte; poco prima che si rechino all’evento, si presenta a casa loro Carrie per aprirsi con Saul, dicendogli dei suoi incontri con il sergente. Il mentore della Danes, pur riconoscendo la gravità di quanto riferitogli, reagisce pacatamente, e stringe a sé la Mathison come un padre, incoraggiandola a chiudere la pratica Walker. E torniamo proprio alla “linea eroica”: dopo alcuni tentativi andati a vuoto, Helen Walker, sostenuta da Carrie, risponde al marito e lo tiene in linea; sul più bello, proprio quando alla CIA hanno ormai localizzato la preda e l’FBI sta per catturarla, la signora Walker, toccata dalla voce del marito, che improvvisamente ne pronuncia il nome, gli svela la trappola e lo esorta a mettersi in salvo. Walker, con gli agenti alle calcagna, riesce a fuggire; per di più, l’inseguimento finisce in tragedia, con una sparatoria dentro una moschea all’interno della quale il fuggiasco pare esser svicolato: a terra restano due fedeli disarmati, in attesa della preghiera del mattino.

    Il fantomatico “uomo del tetto” se l’è cavata; lo vediamo arrivare all’indirizzo segnato sulla banconota, una sorta si garage sotterraneo: all’interno, lo attende un fucile di precisione, comodamente adagiato in una di quelle valigette da cecchino che abitano decine di pulciose stanze d’albergo cinematografiche. Alle sei del mattino, dopo una notte spesa a seguire la fallimentare caccia a Walker, Carrie si reca a casa Brody; il marine, svegliato da uno squillo del cellulare, esce in giardino, lasciando Jessica addormentata sotto le coperte. La Mathison dice a Nick – vuole che lo sappia da lei, non dai notiziari del mattino – che Walker, contrariamente a quanto lui sostiene, è vivo, ed è una minaccia; inoltre, assicura al sergente che quanto lui le ha confidato alla baita non è stato trasmesso all’agenzia. La Mathison è sinceramente dispiaciuta e Nick si mostra più morbido, comprensivo: un riavvicinamento pare possibile. Intanto, poco fuori da un’altra casa – quella di Saul – Mira sta caricando sul taxi gli ultimi bagagli: Berenson, appena rientrato dall’intensa, ma sterile, notte di lavoro, non riesce a bloccare la moglie.

    Dare la caccia al nemico, dedicarsi interamente alla difesa di un paese, della sua sicurezza, disintegra il privato dei predatori, lo annienta; nella penultima scena della puntata, Carrie, nell’ufficio di Saul, si chiede, lasciando andare per un istante l’annosa questione Walker, se rimarrà sola per tutta la vita. Un interrogativo con cui la Mathison, forse, può confrontarsi in tempo utile, ma che per Berenson pare ormai avere una sola, e affermativa, risposta: la donna che ama è già dall’altra parte del pianeta. A quest’intimo e mesto frangente sprofondato nel buio studio di Berenson segue la scena finale che, come lecito attendersi, riattiva gli eventualmente sopiti dubbi sul sergente Brody. Si vede l’anonimo arabo che ha consegnato a Walker chiave e indirizzo scendere dalla solita auto diplomatica ed entrare nottetempo in una bella e tipica casa americana. C’è una sorpresa: un uomo sta guardando la tv in salotto. L’arabo crede si tratti di Walker e gli intima di andarsene: mezza America lo sta cercando e lui se ne sta tranquillo davanti al notiziario che parla di lui. Ma non si tratta dell’ex marine afroamericano, bensì di Brody. Nick si scaglia sull’uomo, lo mette a muro, quasi soffocandolo. E’ infuriato perché gli era stato detto che Walker era morto. “Devi parlare con Abu Nazir!”, gli fa l’aggredito; il sergente lo scaraventa a terra e dichiara di non voler più incontrare il capo di Al Qaeda. Una provvidenziale iniezione di punti interrogativi va, dunque, con quest’oscura coda, a bucherellare il reticolo informativo di chi guarda, che, comunque, continua ad avere il lusso di saperne di più di Carrie.

    La riserva di colpi di scena della seria pare ormai essersi esaurita con il passaggio di Walker da eroe morto a terrorista vivo; altri radicali stravolgimenti comincerebbero forse a indispettire anche lo spettatore più attento. Le lastre opache attorno a Brody continuano a lavorare bene e il sergente esce dall’ottava puntata più camaleontico che mai; dietro le fattezze legnose e la corteccia rossiccia di Damien Lewis si agita un personaggio che, più che condurre un cosciente doppiogioco, pare tendersi senza requie verso più poli: l’amore per la famiglia e il desiderio di tornare alla normalità, l’attrazione per Carrie e, come trascurarlo, l’inquietante figura di Abu Nazir.

    La battaglia continua: per raddrizzare la Storia, per aggiustare le storie.