- Pubblicità -

Cast: Simon Baker (Patrick Jane), Robin Tunney (Teresa Lisbon), Owain Yeoman (Wayne Rigsby), Amanda Righetti (Grace Van Pelt), Tim Kang (Kimball Cho).

 
 

The mentalist è un piacevole (e pregevole) esempio di come un prodotto “europeo” possa affermarsi e fare fortuna oltreoceano invadendo letteralmente il mercato televisivo statunitense e diventando, in breve tempo, una delle serie tv più viste sul canale via cavo CBS; la serie, infatti, vanta un creatore come lo sceneggiatore inglese Bruno Heller, autore di un altro gioiello telefilmico come Rome, datato 2005 e che vanta una produzione completamente europea.

La struttura portante è quella tipica del procedural a sfondo crime-poliziesco: Patrick Jane è un consulente del CBI, un organo amministrativo che si occupa di risolvere efferati casi di omicidio sotto il sole caldo della California. Ma non è un agente: è, piuttosto, un mentalista, un uomo in grado di decifrare la mente e i comportamenti delle persone grazie alle sue acute doti di osservatore; un tempo infatti sfruttava questa sua “dote” per scopi di lucro, spacciandosi per un sedicente sensitivo e raggirando la gente. Ma la sua vita cambia radicalmente quando  scatena l’ira di John il Rosso, un pericoloso serial killer che, per punirlo e impartirgli una sadica lezione sulla tracotanza (la Hybris nel vero senso greco del termine), stermina la famiglia di Patrick uccidendo sua moglie e sua figlia. Così, abbandonati i panni del sensitivo truffatore e indossati quelli del perspicace consulente si prepara a risolvere intricati casi utilizzando metodi decisamente poco convenzionali e mettendo “in pericolo” la carriera del suo supervisore, l’agente Teresa Lisbon, la quale nonostante tutto si fida ciecamente di Jane e delle sue intuizioni come del resto la sua squadra composta dall’agente Rigsby, la nuova entrata Van Pelt e l’inflessibile agente Cho.

Nonostante il nutrito, e ben costruito, gruppo di comprimari ben lontani da essere solo delle evanescenti sagome telefilmiche, il protagonista assoluto della serie resta senza dubbio proprio il personaggio di Patrick Jane: atipico protagonista di un crime “a stelle e strisce”, mal sopporta le armi o la violenza, la sua forza è nei giochetti psicologici con cui indaga a fondo nella psiche della gente, mente spudoratamente, è un teina -dipendente dotato di un sottile humor decisamente british– retaggio, sicuramente, dello stesso Heller- e si abbandona fin troppo spesso ad atteggiamenti che potremmo definire liberamente infantili e fastidiosi. Apparentemente sembra un personaggio insopportabile come una mosca tse-tse, ma in realtà il bello di Jane è che, davanti al sorriso sornione che sfodera abitualmente, qualunque rigida posizione crolla e gli si perdona tutto. Ma la sua complessa personalità sfaccettata non termina qui, anzi, si arricchisce di un lato oscuro non indifferente, legato principalmente a quella sete di vendetta verso John il Rosso- il carnefice della sua famiglia- che lo spinge a cercare con forza e determinazione quella giustizia privata che potrà finalmente placare la sua sete. E apparentemente sembrava esserci riuscito nel cliffhanger della terza stagione, da poco trasmessa in chiaro da rete quattro nel prime time del martedì.

Jane sembra aver avuto, finalmente, giustizia: ha ucciso John il Rosso sparandogli al petto in pieno giorno, in un affollatissimo centro commerciale. Ma le cose stanno proprio così? È davvero tutto come sembra?

Sarà proprio la quarta stagione a cercare di dare una risposta a queste domande senza però svelare troppo, lasciando il gran finale per un’altra occasione (visto che la serie è stata confermata fino alla sesta stagione). Nell’arco di questi nuovi ventiquattro episodi assistiamo a una sorta di “ritorno alle origini” con una trama, e una struttura della narrazione, che si avvicinano decisamente molto più alla prima stagione che non alla terza appena trascorsa, tantomeno alla seconda. John il Rosso è ancora una presenza costante: dopotutto è la nemesi di Jane, senza la sua ombra forse il nostro consulente perderebbe quella calamita che lo ancora alla realtà e il suo lato oscuro risulterebbe (forse) pericolosamente sbilanciato. Quindi, questa nuova stagione si incentra più che altro sulle conseguenze dell’atroce gesto che ha compiuto Patrick, sui temi della colpa, della vendetta e delle sue conseguenze; non sappiamo con certezza assoluta se l’uomo ucciso nel ventiquattresimo episodio della terza stagione era (o non) era davvero il famoso serial killer: un senso spiazzante di incertezza ci avvolge e condividiamo questa stessa sensazione con Jane e compagni, il sospetto si insinua e fa dubitare di tutto e tutti, dietro ogni volto potrebbe benissimo nascondersi una talpa del sadico maniaco…

Per quanto riguarda invece la sfera dei sentimenti, le dinamiche interne che regolano i personaggi resteranno più o meno le stesse anche in questa nuova stagione: la tensione irrisolta tra Patrick e Teresa, la storia infinita tra Rigsby e Van Pelt (adesso a una svolta, dopo la tragica uscita di scena dell’agente O’Laughlin) e l’entrata in scena di tanti nuovi personaggi, regular o meno, come il nuovo direttore del CBI Luther Wainwright (interpretato dall’attore Michael Rady) che prende il posto dell’agente Hightower oppure il personaggio dell’agente speciale Susan Darcy (a prestarle il volto sarà l’attrice Catherine Dent) un’esperta dell’F.B.I. abile nell’inganno e sospettosa nei confronti di Patrick e della sua versione della storia di John il Rosso che lo riguarda fin troppo da vicino e di cui sa molti più dettagli di quanti ne racconta ufficialmente, almeno secondo l’opinione dell’agente. Sono previsti pure dei ritorni molto promettenti, come quello del personaggio di Erica Flynn, interpretato da Morena Baccarin e già incontrato nel diciannovesimo episodio della terza stagione, l’affascinante  e sensuale proprietaria di un’agenzia di “matchmaking” per single coinvolta nell’omicidio di suo marito, della cui partecipazione però non sono trapelate ancora molte informazioni.

Sicuramente, una delle costanti che ha reso la serie un fenomeno di massa su scala mondiale tornerà con certezza anche in questa quarta stagione: la calma, il ritmo pacato e sobrio con cui il creatore Bruno Heller svela progressivamente le sue carte senza correre bruciando tutte le tappe prematuramente: i personaggi hanno il giusto spazio per esprimersi procedendo per gradi e mostrando, a poco a poco, tutti gli infiniti lati nascosti delle loro personalità.

- Pubblicità -
Articolo precedenteHomeland stagione 1 – recensione
Articolo successivoUma Thurman fa il suo ingresso in Smash
Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.