È ufficialmente ricominciato il cammino della serie di punta della Netflix Orange is the New Black, dal 6 giugno disponibile in streaming on demand con il primo episodio della seconda stagione intitolato Thirsty Bird.
L’attesa era davvero tanta e le aspettative alle stelle, soprattutto considerando il finale a ‘black out’ con cui si è conclusa la prima stagione. Come tutti i fan ricorderanno, avevamo lasciato la protagonista Piper Chapman (Taylor Schilling) mentre scagliava tutta la sua rabbia su Tiffany ‘Pennsatucky’ Dogget (Taryn Manning), riempiendola di calci e pugni. Poi, appunto, nero. Che dopo quasi un anno di attesa è tornato arancione. Il dramma carcerario al femminile che ha “rivoluzionato” le caratteristiche del genere si risveglia così come si era assopito: con delle domande. In apertura di episodio Piper viene prelevata dalla sua cella d’isolamento e portata a bordo di un’aereo. Destinazione, motivazioni e dettagli: non sono dati sapere. Per quasi metà episodio lo spettatore brancola nel dubbio e nell’ombra, affatto aiutato dagli ormai tipici flashback sul passato della Chapman, che si mostrano fino in chiusura. In questo senso il pubblico assimila e prova sulla sua pelle le medesime sensazioni del personaggio Piper, disperso, in tensione, quasi incosciente e spogliato di un’umanità cui abbiamo già imparato a rinunciare nel corso della prima stagione. Anche fuori dal carcere di Litchfield, insomma, ci si sente spaesati e atterriti. L’immedesimazione con Piper – grande punto di forza dello show – lascia forse lo spettatore con un po’ di amaro di bocca per non poter godere di quella con atri personaggi pure centrali.
‘Crazy Eyes’ (Uzo Aduba), Sophia (Laverne Cox), Nicky Nichols (Natasha Lyonne), Yoga Jones (Constance Shulman) però non si faranno vive in questi primi 55 minuti della nuova stagione. Ma giunti a oltre metà episodio, qualcosa si comincia a capire. Piper è diretta a Chicago per subire il processo e, no, non era destinata al trasferimento in un’altra prigione come era stato ipotizzato. O almeno non ancora. La condanna della protagonista è fissata in 15 mesi, anche se la sua “vittima” Pennsatucky non è morta. Ma più che l’avanzamento della storia, questo primo episodio sembra voler ribadire la cifra e lo stile del prodotto della Netflix, votato massimamente all’affresco psicologico della varia umanità carceraria. Assistiamo a profili deviati, a volte ai limiti dell’assurdo – c’è addirittura chi addestra e utilizza gli insetti per trasportare sigarette in carcere – con l’ormai consolidato cocktail di violenza e crudezza realistica che segnano il successo di questa serie.
Una nota di merita – un’altra, sì – anche alla sigla, capace di entrare a pieno diritto tra le più orecchiabili e apprezzate del panorama seriale odierno.
La seconda stagione registra un esordio intenso e “aperto”, vale a dire potenzialmente ricco di molteplici sviluppi sia dal punto di vista narrativo che dell’evoluzione dei personaggi. Una cosa è certa: ne vedremo delle belle.