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Il secondo episodio di Touch (1+1=3) mette definitivamente le cose in chiaro con lo spettatore, ponendolo saldamente al fianco di Martin Bohm, in una condizione di fiduciosa subalternità rispetto all’intelligenza – oscura e superiore – di Jake. Il piccolo autistico va seguito, come dice il professor Teller, “alla cieca”. Come il personaggio di Kiefer Sutherland si fa, umanamente incapace di comprendere, braccio operativo delle magiche rotte indicate dal figlio, allo stesso modo lo spettatore, con un “atto di fede”, assiste senza troppo domandarsi all’evolversi dell’intreccio, cioè al racconto della riparazione dell’ordine cosmico e delle relazioni umane che si origina dal muto cespuglio di Jake.

 
 

Nell’episodio in questione, i numeri del ragazzino, gli indizi che sparge, le manipolazioni che suggerisce, abbracciano, modellano e intersecano i destini dei più disparati personaggi: un mafioso russo, un anziano malato di cancro, un venditore di noccioline, una hostess, un giovane indiano. Questa eterogenea popolazione, stretta da legami di vario tipo – da quel filo rosso che lega le caviglie della leggenda cinese tanto cara al piccolo Bohm – viene indirizzata da Jake, attraverso il padre, verso un concetto tanto semplice, quanto raro: il Bene. Sentimento che scaturisce quando genitori e figli si ritrovano, quando la vita viene difesa e salvata anche se ormai sembra spacciata, o da buttare, quando, ancora, le più folli, degne e sincere speranze trovano inattesa realizzazione.

Interessante l’evoluzione del rapporto tra Martin e Jake. Al termine del pilot avevamo assistito all’inizio della sintonia sui generis tra i due; alla fine della seconda puntata il padre, rinnovando la sua scelta di mettersi a disposizione del figlio, ammette serenamente di dover da questi imparare e non, come natura vorrebbe, d’esser lui a fargli da guida. Sarà interessante, nelle puntate che seguono, cogliere ciò che il racconto intenderà concedere sulla grande assente del focolare, Sarah Bohm, morta nella tragedia dell’11 settembre. Un’assente di cui inizia a fare parzialmente le veci l’assistente sociale Clea Hopkins, desiderosa di aiutare Jake senza urtare Martin, tutt’altro che un padre privo di premure.

Questa serie ha molte risorse per farsi benvolere; le interpretazioni convincenti, un intelligente e misurato sfruttamento delle risorse audiovisive, l’indubbio pregio di restituire, con il suo pullulare di URL, ricerche web, cellulari e informazioni digitali che viaggiano nella rete (e non solo) un fedele check-up dei nostri giorni. Continuiamo a seguirla.

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