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L’ottava puntata di Touch (Zona d’ombra) vede Jake propiziare il ricongiungimento di una giovane franco-indiana (Tiya Sircar) con il padre (Ravi Kapoor), la madre (Meera Simrhan) e la gemella, i quali vivono a New York. I genitori, disperati e poverissimi, avevano venduto la ragazza, appena nata, a un ostetrico senza scrupoli (Jim Piddock). Questi, ancora impegnato in loschi traffici di bambini, in Zona d’ombra cade nella rete di Jake: dopo un viaggio a bordo del taxi del papà della gemella, che lo riconosce, viene arrestato al JFK, proprio pochi minuti prima di decollare verso la periferia del mondo per far incetta di poppanti figli di poveracci. A questa vicenda, si legano quella dell’appassionato speaker radiofonico (Vincent Guastaferro) della compagnia per cui lavora il papà e tassinaro indiano e quella, ambientata a bordo e all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale, di un cosmonauta italiano (Pasquale Cassalia) che perde pericolosamente i contatti con la collega che è all’interno della stazione; sarà recuperato proprio grazie a un intervento del simpatico radioamatore. Jake, affinché il padre, al solito, si faccia strumento riparatore, inizialmente lo guida creando con un filo di lana, ripetutamente, un triangolo; poi, con un ripassino di trigonometria, arrivano anche i numeri. Le fatiche del piccolo e del grande Bohm mandano all’aria una gita al museo organizzata dall’istituto per i suoi fragili ospiti e i loro genitori; Sheri, la minacciosa direttrice ormai ufficialmente trasformatasi in una spietata arpia, finisce per togliere il caso di Jake a Cloe Hopkins, ostile a zia Abigail, nuova benefattrice dell’istituto, sempre pronta a coprire le mancanze di Martin e soprattutto desiderosa di saperne di più sulla misteriosa stanza numero sei (quella a cui sembrava tanto interessato il povero Teller pochi minuti prima di morire), coperta da una sorta di “segreto di stato”.

 
 

Insomma, senza più Clea, chi si prenderà cura dei due Bohm, mentre loro si prendono cura del mondo? Ci saranno tante altre puntate – addirittura, è una notizia ancora calda, ci sarà una seconda stagione – per rispondere a questa e ad altre incognite. Certo, bisogna aver voglia di seguirle, perché questa serie non è una strada con un po’ di buchi, ma una mulattiera (che si crede autobahn) con rari momenti felici. Che dire, infatti, delle espressioni costantemente basite dei personaggi – roba da far invidia al miglior Stanis La Rochelle – e al loro persistente respiro affannoso? E del gioco del lotto ammantato di pretenziosa scientificità? Del tono da “epifania continua”, con il tema musicale sempre in agguato? Lineamenti fastidiosi, che nell’ottava puntata trovano ancora, pienamente, cittadinanza.

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