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Due ragazzini afroamericani del Bronx, abbandonati dai genitori, vivono in condizioni di estrema precarietà. Uno, Elliott (Malachi Smith), è costretto a rubare da un odioso agente di custodia (Scott Michael Campbell). L’altro, André (Tre C. Roberts), è paralizzato e non può parlare a causa di un grave danno cerebrale. Martin e Jake Bohm, al “grido di battaglia” 55124 riescono a dare una piega positiva alla loro parabola, che va a intrecciarsi con quella di due brasiliani, il chitarrista squattrinato Felipe (Louis Ferreira) e la donna di cui è innamorato, Yarah (Linara Washington); proprietaria di un caffè che va a rotoli, la bella carioca è anche zia dei due adolescenti newyorkesi. Oltre a queste storie, poi, la nona puntata di Touch (Musica delle sfere) si occupa della navata centrale del racconto, a volte stritolata dai cuscinetti laterali; in particolare, prima Clea, poi anche Martin e Jake, rovistano nello studio di Arthur Teller e fanno conoscenza con un giovane ebreo ortodosso, Abraham (Bodhi Elfman), che dice d’esser stato il miglior amico del defunto studioso. Abraham, inizialmente reticente, in seconda battuta – la sua “resistenza” è raccontata maluccio, da fantasmino ultrabbottonato si fa ciarliero in un baleno – rivela ai protagonisti che Jake è uno dei trentasei individui speciali grazie ai quali il mondo può sopravvivere, senza cadere nell’ira distruttiva di Dio; inoltre, spiega come la famosa sequenza di Amelia faccia riferimento a una ragazzina (riportiamo alla mente la presenza catturata dalle camere a circuito chiuso dell’istituto) studiata da Teller, da questi danneggiata con un ardito esperimento, costato la carriera al professore.

 
 

Si può onestamente ammettere che la serie sia ormai riuscita a costruire un po’ di voglia di addentare il mistero di Amelia; desiderio cui si aggiunge la curiosità (q.b. si direbbe in cucina) sulle divagazioni cabalistiche dell’ashkenazita Abraham. Tuttavia, tutti i passi avanti su questi temi e suggestioni, e, più in generale, ogni sfumatura un tantino accattivante della serie, saranno sempre accompagnati da batuffoloni insostenibili come l’escursione brasileira di Musica delle sfere, causa prototipica dei mal di pancia che possono originarsi dall’artefatto di Tim Kring. Cattive sensazioni derivanti, in fin dei conti, dal fatto che il nobile problema della ricerca del Bene venga ripetutamente declassato da oggetto e fatto complesso, quale dovrebbe essere, a motivetto semplice o, ancor peggio, semplicistico.

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