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La Aster Corp ha cominciato a tener d’occhio Jake quand’era poco più che un poppante; per di più, la povera Sarah Bohm ne era informata. Queste le rivelazioni con cui si apre l’undicesima puntata di Touch (Vertigine, pt.1); escono dalla bocca di zia Abigail, per l’orecchio attento e spiazzato di Martin Bohm. E c’è dell’altro: la zia, infatti, spiega al cognato come il comitato di revisione che vigila sulla situazione di Jake, colluso con la Aster, sia in procinto di strappargli il figlio. L’unica soluzione, secondo la donna, è che il piccolo sia affidato a lei, decisamente più presentabile rispetto a Martin, che vanta già parecchie note sul registro. Papà Bohm, tuttavia, sbotta: gli sembra – e forse sbaglia – che la proposta della cognata altro non sia che una strategia per aver la custodia del ragazzino. Per di più, Martin non riesce alla sorella di Sarah quando insinua che non solo Sheri, ma anche Clea Hopkins sia sul libro paga della Aster, e quindi coinvolta negli oscuri disegni della compagnia. Il colloquio tra i due si chiude quando Jake, sul terrazzo della zia, lancia un poliedro di vetro su un’auto della polizia (vettura numero 2217). La visita d’obbligo alla centrale innesca l’epopea di giornata, al solito propiziata da Jake e intrapresa da Martin; il personaggio di Sutherland mette le mani sulla cartella autoptica (cartella 2217) di Amelia, il cui cadavere – davvero il suo?- era stato recuperato in condizioni pietose e riconosciuto tramite calco dentale. Grazie a un cd trovato rovistando nell’ufficio di Teller, salta fuori che la ragazzina “speciale” era stata operata d’appendicite. L’appendice, però, risulta ben presente nel referto dell’autopsia. Kiefer fa due più due, e noi con lui: non è di Amelia il cadavere aperto e ricucito, e non si tratta di un banale caso di malasanità. Da sottolineare anche come il simpatico ebreo Abraham confidi a Martin, mentre questi fa le sue scoperte nel piccolo regno di Teller, che alcuni suoi sodali ortodossi siano convinti che Jake stia cercando di mettersi in diretto contatto con Amelia e che l’incontro tra i due Lamed-Vav potrebbe rivelarsi assai rischioso: altre grane in vista, grane suggerite dalla Kabbala? Chissà.

 
 

Papà Bohm vorrebbe comunicare al padre (Matthew Glave) di Amelia che la figlia forse è ancora viva, ma l’uomo fa muro e attacca la cornetta: soltanto, pare, per non soffrire ancora, accendendo false speranze. Martin intende certamente brandire la sua scoperta anche per forzare la coltre di mistero che avvolge i trascorsi dell’istituto che ospita Jake e che ha ospitato Amelia. Tuttavia, mentre corre per le strade newyorkesi, viene aggredito, derubato del cd e, addirittura, abbandonato senza sensi sui binari del metrò: si salva per miracolo e, da buon ex cronista, capisce, avendoci quasi rimesso la pelle, d’aver fatto centro. Magra consolazione: la prova non c’è più, è nelle mani del nemico. Dopo la brutta avventura sotterranea, malconcio, Martin raggiunge l’istituto in compagnia di Abigail. Cerbero Sheri li accoglie col suo mascellone e con la notizia che la custodia di Jake non è più affare del signor Bohm; la zia avanza una protesta che sembra sincera: l’ambiguità del personaggio, l’impossibilità d’assegnargli con sicurezza una pettorina colorata, è uno dei pochi punti di forza della serie. Alle spalle di Sheri, si affaccia timida e un po’ “bastonata” Clea, che subito si aggiudica qualche latrato di papà Bohm, nei cui pensieri guadagna qualche credibilità l’idea che la Hopkins, come insinuato a inizio puntata da zia Abigail, non sia poi così dalla sua parte.

Tutto qui? No, restano le storie collaterali, due in Vertigine pt.1. Una ha come protagonista una famiglia giapponese disastrata dallo tsunami del 2011; il capofamiglia (Yunichi Yamagita) fatto fuori dall’azienda sente di macchiare l’onore dei suoi avi samurai, mentre il figlio, un ragazzino, cerca di battere un record palleggiando per 24 ore filate, venendo a sua volta palleggiato in rete ai quattro angoli del mondo durante l’esibizione (che finisce male, per un pelo). L’altra storia ruota attorno al quarantenne Wade (Ian Gomez), un americano che ha deciso di vivere su una spiaggia del Pacifico per raccattare detriti dello tsunami giapponese e metterli online, sperando di rintracciarne i proprietari; lo fa perché, sopravvissuto allo tsunami, desidera soltanto ricevere dei “segnali di vita”, per depurarsi dal bagno di morte del 2011. Una donna (Maria Bello) che passeggia in riva al mare s’imbatte nell’attività di Wade e, fraintendendone i fini – come biasimarla: sembra proprio un venditore di macabri cimeli – inizialmente cerca di metterlo in difficoltà; poi lui si apre e lei comprende. Addirittura, lo aiuta a stabilire finalmente un contatto tra un oggetto – una spada giapponese, una katana catalogata col numero ricorrente 2217– e chi lo ha smarrito, cioè la famiglia giapponese menzionata poco fa. Inoltre, la dolce mamma (Tamlyn Tomita) del palleggiatore, nonché moglie del padre di famiglia fissato con gli antenati, è, guarda un po’, la signora che nel tragico marzo 2011 aveva condiviso con Wade una ringhiera, ultimo disperato appiglio contro la furia della terra e del mare; a differenza dell’americano, la signora aveva mollato la presa. Vietato stupirsi: “Tutto è connesso”, c’è scritto, occorre fidarsi. Ah, piccolo particolare: la bionda che alla fine fa amicizia con Wade si chiama Lucy ed è… la mamma di Amelia. A differenza del marito, lei non si è mai rassegnata: crede che la figlia sia viva, la cerca. Consigliamo alla signora di vedere il dodicesimo e ultimo round della prima stagione di Touch: forse Martin Bohm scoverà Amelia per lei. Magari, nel frattempo, il buon Wade pescherà dal mare uno sceneggiatore, e la signora unirà l’utile al dilettevole.

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