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Quando la nave di Ragnar Lothbrok ha preso per la prima volta il largo alla ricerca di nuove terre da scoprire e depredare, non sapevamo dove il viaggio ci avrebbe portato né se l’impresa fosse davvero degna del nostro tempo e della nostra fiducia: alla conclusione del season finale, possiamo finalmente dire con certezza che Vikings è una delle novità più promettenti e interessanti che abbiamo avuto il piacere di incontrare in quest’annata televisiva.

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Per sposare il desiderio di fedeltà storica con una storia originale che potesse avvincere e intrattenere con coerenza History Channel si è affidata a Michael Hirst, ottima penna quando si tratta di finzionalizzare la storia; optando per una tela di eventi semplice e lineare piuttosto che per un  fitto intreccio di fili alla Game of Thrones il network ha saputo confezionare una serie pronta a usare i personaggi come una cassa di risonanza, piegandoli a un fine didattico che funziona senza essere invasivo e che viene assorbito dal pubblico con avida curiosità: così, senza neppure rendercene conto, ci siamo ritrovati ad aprire le danze a un matrimonio e ad assistere a un solenne funerale vichingo, abbiamo desinato alla tavola di un re d’Inghilterra e abbiamo preparato offerte per Thor e Odino finendo sopraffatti dalla maestosità della mitologia e della religione norrene, abbiamo fatto domande agli indovini e ottenuto risposte intimoriti e affascinati dall’oscurità e dal mistero di tutto ciò che non conosciamo: il tutto attraverso gli occhi puri e gentili di Athelstan, frate britannico strappato al proprio monastero durante una delle numerose razzie perpetrate da Ragnar e condotto come schiavo in Scandinavia fin nel cuore della civiltà vichinga, dove l’abbiamo visto imparare a convivere e a rispettare il popolo a lui estraneo come un orfano bisognoso dell’affetto e del sostegno della famiglia, ma allo stesso tempo diffidente verso la violenza che lo contraddistingue, tale da non potere essere benedetta con facilità dall’anima di un cristiano.

Già visto in Les Misérables di Tom Hooper, il giovane interprete di Athelstan George Blagden sembra sicuramente un volto da tenere d’occhio, ma a livello di casting è davvero difficile non trovare un attore perfettamente a suo agio nei panni che indossa: il simpatico Travis Fimmel, che nei panni di Ragnar si era subito presentato come un adorabile sognatore, devoto alla famiglia e all’onore ma altrettanto deciso a prendere il mare e a rischiare tutto per provare di essere nel giusto, ha saputo trovare la sua direzione con un personaggio finalmente pronto a sporcarsi le mani e a colorarsi di luci e ombre, facendo vacillare sotto il peso della sua nuova responsabilità politica tutto ciò che fino a poco tempo prima era stato per lui sacro e inviolabile; il fratello Rollo(Clive Standen), classica figura antagonista che trova terreno fertile nella mitologia norrena e non, ha saputo riconquistare il nostro favore facendoci meglio comprendere le sue motivazioni e la mancanza di infallibilità di Ragnar, ma lo scettro di personaggio più affascinante della serie resta ben saldo nelle mani di Lagertha, bellissima moglie del protagonista modellata sull’interpretazione di Katheryn Winnick: senza mai dimenticare il proprio cuore da guerriera, la nostra dama ha dimostrato di possedere fierezza, nobiltà e contegno degni di una regina.

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Dopo un epilogo poco conclusivo ed esauriente che non riesce a garantire lo spazio dovuto a tutti i personaggi, ma che deposti ascia e scudo sa comunque emozionare e spezzarci il cuore pressando dolorosamente sulla nostra affezione per i personaggi, siamo costretti a salutare i nostri beniamini e a dare loro appuntamento per l’ormai certa seconda stagione: i bellissimi paesaggi scandinavi ( in realtà irlandesi, ma il gioco vale egualmente la candela) avvolti nella nebbia e resi saturi dal freddo umido e dall’agire imperscrutabile degli dei ci mancheranno molto, ma forse non quanto la famiglia Lothbrok e tutti i suoi componenti, consanguinei e non, rimasti soli e spaesati in un microcosmo stravolto dall’incertezza verso il futuro e dal vuoto della perdita: tutto è cambiato e la tempesta è alla fine arrivata.

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Alessia Carmicino
Nata a Palermo nel 1986 , a 13 anni scrive la sua prima recensione per il cineforum di classe su "tempi moderni": da quel giorno è sempre stata affetta da cinefilia inguaribile . Divora soprattutto film in costume e period drama ma può amare incondizionatamente una pellicola qualunque sia il genere . Studentessa di giurisprudenza , sogna una tesi su “ il verdetto “ di Sidney Lumet e si divide quotidianamente fra il mondo giuridico e quello cinematografico , al quale dedica pensieri e parole nel suo blog personale (http://firstimpressions86.blogspot.com/); dopo alcune collaborazioni e una pubblicazione su “ciak” con una recensione sul mitico “inception” , inizia la sua collaborazione con Cinefilos e guarda con fiducia a un futuro tutto da scrivere .