Il proverbio di
omeriche origini “Temo gli Achei anche quando portano
doni” potrebbe essere tradotto cinematograficamente parlando
di certi registi: tipo “Temo Lars Von Trier pure quando dice
che gira un porno”.
Contrastanti sono le opinioni e le interpretazioni di quelli che hanno già visto Nymphomaniac Vol. 1, che arriverà in Italia il 3 aprile poiché, a quanto pare, in mano al danese, anche un film che presenta scene di sesso esplicite – nonostante la censura di più sequenze nella versione italiana rispetto a quella degli altri paesi – riesce a portare alla mente significati che vanno ben oltre quelli circoscritti all’immaginario erotico. Se quindi, da una parte, il prodotto è riuscito ad attirare l’attenzione del mondo – e consistenti introiti al botteghino – grazie all’accostamento delle variabili “maestro del cinema” e “film porno”, lo spettatore che si appresta a vederlo deve sempre ricordare di avere a che fare con Lars Von Trier.
La storia della ninfomane Joe (da
ragazza Stacy Martin, da signora Charlotte
Gainsburg, che dopo il film forse non verrà più ricordata
nei panni di Jane Eyre) dall’infanzia
alla maturità, viene raccontata dalla stessa al mite e candido
Seligman (Stellan Skarsgard scelto da Von
Trier anche per Melancholia e
Dogville tra gli altri), dopo che l’uomo
l’ha raccolta per strada, malmenata e abbandonata, in un giorno di
pioggia. Von Trier, che gioca spesso e volentieri sul piano
temporale servendosi di flashback, decide di dividere la storia in
capitoli: The Compleat Angler; Jerôme; Mrs.H; Delirium; The
Little Organ School. Il racconto della ninfomane, tuttavia,
porta i protagonisti ad addentrarsi in ragionamenti riguardanti i
concetti di piacere e di dovere, la religione, il bene e il male, e
perfino ad azzardare paragoni tra l’adescamento della “preda”, e la
ninfomania con la pesca con la mosca e la polifonia musicale.
Il resto del cast
comprende Uma Thurman, Shia LaBeouf, Christian
Slater e l’altro attore preferito da Von Trier,
l’ex “leader” degli Idioti Jens Albinus, che qui
però appare in una sola sequenza.
Considerato un capolavoro da alcuni, denigrato e definito addirittura noioso da altri, crediamo sia comunque giusto ricordare che il film conclude un percorso iniziato dal regista con Antichrist e portato avanti con Melancholia, chiamato Trilogia della Depressione. Pur trattandosi di un film porno con brevi e sporadici intermezzi ironici, quindi, Von Trier non rinnega la propria particolare rappresentazione del sesso e soprattutto del rapporto sessuale che sempre, nei suoi lungometraggi, vengono resi in un’ottica ambigua, disturbante e perfino inquietante.