“Zucchina?… Io lo chiamerei Patata con quella faccia!” (Simon)
Nonostante la sua apparente semplicità, La mia vita da Zucchina di Claude Barras è un film molto complesso dal punto di vista tecnico, e come ormai ben sappiamo lo sono tutte le pellicole realizzate con la minuziosa e lunga animazione stop-motion. Certo, non siamo ai livelli di complessità tecnologica delle produzioni di casa Laika, ma nonostante la semplificazione dal punto di vista anatomico dei burattini non è mai facile donare la vita a un esserino inanimato e renderla credibile.
Per la realizzazione del film sono
stati costruiti e dipinti sessanta set, sono stati realizzati
cinquantaquattro burattini e ognuno in tre esemplari e con costumi
diversi. Il lavoro di animazione è durato otto mesi, al ritmo di
tre-cinque secondi al giorno per ciascun animatore. Altri otto mesi
sono serviti per le lavorazioni sul suono e sulla colonna sonora,
nonché per tutto il lavoro di postproduzione digitale.
Complessivamente sono occorsi due anni con il coinvolgimento
di una troupe di circa cinquanta persone.
Claude Barras racconta così l’impostazione che ha voluto dare al suo lavoro di caratterizzazione dei personaggi e alla successiva animazione: “Un grande disegnatore come Hergé, il creatore di Tintin, sosteneva che più la grafica di un viso è semplice, più il pubblico può proiettarvi le proprie emozioni e identificarsi con il personaggio. Sono pienamente d’accordo con lui ed è quanto io stesso provo a mettere in pratica con l’animazione a passo uno dei pupazzi, senza l’ambizione di riprodurre fedelmente la realtà ma provando a darne agli spettatori una visione rielaborata. Combinando delle voci realistiche e naturali con dei personaggi dall’estetica altamente stilizzata, ho anche tentato di conservare nel film lo stile di scrittura di Gilles Paris. Ma la chiave per entrare in questo universo restano gli occhi dei personaggi. I loro occhi enormi, spalancati sul mondo, danno un contributo essenziale all’empatia e alle emozioni.”
E aggiunge, a proposito dei tempi di
narrazione e del suo stile di regia: “La mia vita da
Zucchina si concentra sul mondo interiore dei
suoi personaggi ed era importante per me avere i tempi giusti per i
piccoli gesti, le espressioni del viso, i momenti di attesa. Anche
molti aspetti del paesaggio e del tempo atmosferico rispecchiano
gli stati d’animo dei protagonisti. Inoltre, ho usato spesso delle
inquadrature lunghe per catturare sguardi e emozioni, piuttosto che
il consueto campo e controcampo utilizzato nei film d’animazione.
Questa scelta dà al film un ritmo molto
originale.”
I burattini di La mia vita da Zucchina sono alti circa 25 cm e sono stati costruiti artigianalmente uno per uno, senza ricorrere alla prototipazione 3D, ma affidandosi alle tradizionali tecniche artigianali. Sono fabbricati combinando insieme materiali differenti, come la resina per i volti, in modo da ottenere una texture grezza e graffiata, una schiuma di lattice morbida per i capelli, che potesse essere animata con facilità, silicone al platino per le braccia e imbottitura morbida in gommapiuma per i corpicini, poi coperti da abiti in maglieria e tessuto.
Anatomia di una Zucchina
Invece di ricorrere alla
sostituzione delle teste o di porzioni del volto, come ormai si usa
fare in tutti i grandi film in stop-motion, si è deciso di adottare
una soluzione assai più semplice, ovvero sostituire solamente le
bocche e le sopracciglia sopra una testa unica che ne era priva e
dotata di occhi mobili. Il risultato è sorprendente, tanto semplice
quanto efficace. Le teste in resina sono rigide invece che essere
morbide e al loro interno nascondono delle piccole calamite che
consentono di posizionare con estrema facilità le parti mobili,
dando la possibilità di farle anche spostare sulle porzioni del
volto. I capelli invece, morbidi e armati con il filo di alluminio,
sono stati progettato come una vera e propria parrucca da applicare
sulla rotondità della testa calva.
Gli scheletri sono stati realizzati
artigianalmente, utilizzando dei classici snodi a sfere per la
colonna vertebrale e le gambe, mentre le braccia sono state armate
con del semplice filo di alluminio intrecciato, in modo da avere
una morbidissima mobilità. La particolarità delle braccia è la loro
lunghezza, sono infatti estremamente lunghe e se distese arrivano a
toccare il terreno e oltretutto sono sprovviste di gomito,
assumendo nei movimenti una singolare forma ad arco, che
contribuisce a caratterizzare in maniera originale i personaggi,
con una felicissima sintesi grafica. Inoltre le mani sono provviste
di sole quattro dita, in moda da rendere più semplice il lavoro di
animazione, che comunque risulta convincente e perfettamente
funzionale alla recitazione.
Il direttore dell’animazione del film è Kim Keukeleire, nato a Seoul ma di cittadinanza belga, con un curriculum che comprende alcuni dei capolavori in stop-motion degli ultimi anni, da Galline in fuga, prodotto dall’inglese Aardman, a Fantastic Mr Fox di Wes Anderson, fino a Frankenweenie di Tim Burton.
Tra gli animatori ci sono i migliori
esperti del settore nel panorama europeo, come Tim
Allen e Kristien Vanden
Bussche.
E naturalmente per gestire tutto il
lavoro di animazione fotogramma per fotogramma è stato utilizzato
Dragonframe (il nostro approfondimento), il prodigioso
irrinunciabile software ideato da Jamie e Dyami
Caliri.
In questi backstage di La mia vita da Zucchina è possibile carpire qualche segreto sulla realizzazione dei burattini e della loro animazione. QUI e QUI