“Credo nella ridondanza del presente”, Hirokazu Kore’eda arriva alla Festa del Cinema #RomaFF14

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Si presenta silenziosamente e a capo chino il regista giapponese Hirokazu Kore’eda, protagonista di uno degli incontri ravvicinati della Festa del Cinema di Roma. Nonostante l’umiltà con cui si mostra al pubblico, Kore’eda è tra i più premiati e apprezzati cineasti oggi in attività. Con premi ricevuti a importanti festival come quelli di Venezia e Cannes, dove ha vinto la Palma d’Oro per Un affare di famiglia, il regista è attualmente in sala con il suo ultimo film, Le verità, con protagoniste Catherine Deneuve e Juliette Binoche.

 

Per inaugurare l’incontro il regista racconta di come si sia avvicinato al cinema, avendo lui intrapreso la sua carriera inizialmente nel mondo della televisione. “Dopo aver realizzato alcuni prodotti mi ero reso conto di esserne già stufo. Tutto andava fatto con tempistiche molto frenetiche, e questo semplicemente non era un lavoro adatto a me. Ho così iniziato a girare miei documentari, dove potevo gestire io la macchina da presa, potevo prendere il tempo di cui avevo bisogno e approfondire ciò che desideravo. Nonostante ciò non smisi mai di continuare a scrivere mie sceneggiature, e alla fine mi sono deciso a debuttare con una di queste al cinema, tornando al genere di fiction.”

Nel corso dell’incontro, durato circa due ore, sono state mostrate clip tratte dai più celebri film del maestro, raggruppate tuttavia per ordine tematico. Il primo di questi è stato riguardo il grande lavoro svolto dal regista, in quasi tutti i suoi film, con i bambini protagonisti. “Riprendere i bambini è un’attività indubbiamente complessa, ma altrettanto interessante. Di solito i bambini che scelgo per i miei film non hanno esperienze recitative, il che è un bene perché gli permette di essere naturali, non costruiti. Per aiutarli inoltre non li pongo al confronto con attori adulti protagonisti, perché il divario genererebbe soltanto stress. Quindi spesso prediligo attori senza o con poca esperienza davanti la camera. Inoltre raramente fornisco il copione ai bambini, perché per esperienza risultano più spontanei se sanno cosa fare solo poco prima di doverlo fare.”

Il secondo gruppo tematico riguarda invece i concetti di dolore, morte ed elaborazione del lutto, presenti sotto varie sfumature in tutta la filmografia del regista. “Si dice che nel momento in cui moriamo, si rivede tutta la nostra vita impressa su pellicola cinematografica, come un grande flashback che ci scorre davanti agli occhi. Non so se questo sia vero, però l’idea di riproporre questo concetto è certamente alla base di questa mia volontà di indagine sulla morte.”

“Per parlare di ciò tuttavia non mi rivolgo mai ai flashback. Io credo nella ridondanza del presente, nella persistenza del passato e nell’imminenza del futuro. Nei miei film ciò che è stato doloroso è già passato, non accade sullo schermo. Il dolore nei miei film appartiene al passato, esiste al di fuori del frammento di narrazione su cui mi concentro. Il fondo e la cima dell’emotività stanno al di fuori della pellicola, e mi concentro invece sul ritrarre ciò che è al centro di questa triplice spartizione, è questo che mi interessa.

Il terzo blocco è invece legato al concetto di tempo, che Kore’eda sembra rimutuare dalla tradizione cinematografica giapponese precedente, in particolare da Yasujirō Ozu. “Più volte mi è stato fatto notare che il tempo nei miei film è trattato in modo simile a quello nei film di Ozu, e la risposta più precisa che mi è stata data è riguardo il modo in cui scorre il tempo. Non c’è una linearità, ma una circolarità, e penso sia vero. Il punto di arrivo dei miei film è di poco distante dal punto di partenza, dopo aver compiuto tuttavia un viaggio intorno a questo.

oscar 2019 Hirokazu Kore-eda Un affare di famiglia

Al regista viene poi chiesto di parlare della sua prima esperienza regista al di fuori del Giappone, avvenuta con il film Le Verità, presentato proprio all’ultima edizione del Festival di Venezia. “Per quanto riguarda il set e il mio modo di gestire la regia, posso dire che non ci sono state grandi differenze con quanto avevo fatto già in Giappone. Anche in questo caso ho osservato gli attori, e sulla base di quanto loro fanno decido se apportare o meno modifiche alla sceneggiatura. È stato un set dove tutti noi imparavamo le cose direttamente sul posto. Molte cose le capivamo, percepivamo soltanto lì. La differenza di approccio è stata che in un momento difficile i giapponesi tacciono, mentre gli europei tendono più a scontrarsi. E a questo ho fatto attenzione  mentre scrivevo il copione.”

Per concludere l’incontro, il regista dedica un pensiero all’attrice Kirin Kiki, protagonista di numerosi suoi film e scomparsa nel settembre del 2018. “Quando abbiamo girato Un affare di famiglia stava piuttosto bene, non mi aspettavo assolutamente che sarebbe morta così all’improvviso. C’è una cosa in particolare che ricordo di lei in quel film. Quando abbiamo girato la scena sulla spiaggia, io ho ripreso il suo volto di profilo mentre guardava la famiglia. In sala di montaggio mi sono reso conto che lei stava muovendo leggermente la bocca. Guardando molto attentamente mi sono reso conto che stava dicendo “grazie”.”

“Non era una battuta presente nella sceneggiatura, – continua Kore’eda – ma lei la pronunciò lo stesso. Nel film ci sono tante cose che rimangono non dette, lasciate in sospeso, e lei ha capito perfettamente ciò, sottolineando questa cosa con il suo silenzioso “grazie”. È un contributo splendido, un regalo meraviglioso che lei ha fatto sia nei confronti dell’opera sia nei miei, e le sono eternamente grato.”

 

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