Giorgio Amato, regista e sceneggiatore, presenta insieme agli attori Gianmarco Tognazzi, Alessia Barela, Ira Fronten ed Edoardo Pesce il suo terzo lungometraggio indipendente, Il Ministro, una commedia cinica e disincantata – dal ritmo indiavolato – che si rifà alla tradizione tipicamente italiana, riaggiornandola e inserendosi di diritto nel solco di quella new wave che sembra “sommergere” il cinema italiano di questi ultimi 18 mesi.
Il film uscirà il prossimo 5 Maggio e sarà distribuito nelle sale italiane da Europictures, giovane casa di distribuzione indipendente che ha accettato il rischio con venti copie che verranno proiettate in tutta Italia, in circuiti selezionati.
Confessa il regista Amato
alla stampa che l’ispirazione per Il
Ministro è nata da una vera e propria “folgorazione”
sorta dopo l’ascolto di un brano di Fabrizio De
Andrè: la ballata medievale narrava la disperazione di un
marchese il quale, pur di non rinunciare al suo titolo nobiliare,
decise di assecondare un capriccio del Re concedendogli la propria
moglie; da questo spunto di riflessione, Amato giunse presto alla
deduzione che, nonostante i mutati tempi, la situazione non fosse
cambiata poi molto. La corruzione è la cornice nella quale si
insinuano le vicende narrate, e i protagonisti non possono far
altro che restare “supini” nei confronti del potere: in fin dei
conti, nonostante l’indignazione generale, chi di noi non
approfitterebbe dei favori di un amico potente, qualora ne avesse
uno? Un altro spunto gli è “giunto” da alcune esperienze personali,
vissute in prima persona o semplicemente osservate da distanza (di
sicurezza); da queste suggestioni iniziali non è stato poi così
difficile ricavare una sceneggiatura dall’impianto teatrale (dotata
di una ferrea integrità spazio/ temporale aristotelica) realizzata
in soli dieci giorni. Tra i vari modelli di riferimento, il regista
non ha mancato di citare un classico della nostra Commedia
all’italiana: I Mostri di Dino
Risi (al quale poi è seguito I Nuovi
Mostri) e soprattutto quel primo episodio che vedeva
protagonista Ugo Tognazzi alle prese con
“l’educazione sentimentale” del figlioletto. Nel suo progetto
inziale c’era l’intento di delineare il personaggio di Franco Lucci
(il protagonista e motore dell’azione nei cui panni si cala
Tognazzi) come quel bambino ormai cresciuto, divenuto un campione
di (dis)educazione civica.
La prima scelta casting era ricaduta, appunto, proprio su Tognazzi: ma l’attore, impegnato su un altro set, aveva dovuto declinare la proposta. “Grazie” ad alcuni ritardi della produzione – che fecero slittare gli inizi delle riprese di ben quattro mesi – e gli impegni dell’attore scelto per rimpiazzare Tognazzi stesso, permisero alla fine di ri-accoglierlo nella “scuderia” insieme ad Alessia Barela, subentrata nel frattempo ad un’altra prima scelta. Edoardo Pesce, invece, racconta di come sia stata la prima – ed unica – scelta per il personaggio di Michele (cognato di Franco) anche se al provino per lo stesso ruolo si era presentato anche Fortunato Cerlino, tra i protagonisti di Gomorra- La serie, e poi scelto nei panni del ministro Rolando. Invece il personaggio di Jun Ichikawa, una ballerina di burlesque che si “improvvisa” escort per una notte, non era stato pensato inizialmente per un’attrice orientale: è stata Ira Fronten, qui nei panni della domestica Esmeralda, a suggerire tale spunto ad Amato. Una domanda riguarda proprio il debito del regista nei confronti di questa New Wave che sembra investire il nostro cinema degli ultimi 18 mesi: ottimi prodotti, diversi tra loro, dalla qualità alta (già in fase di scrittura). Amato conferma che sì, come ogni persona anche lui è una “spugna” pronta ad assorbire i riferimenti che provengono dal mondo esterno; molti stimoli provenivano dai film con i quali era cresciuto, e la loro volontà è stata fin da subito quella di tenere in bilico due registri per l’intero arco del film: passando dal grottesco ad uno più leggero, gli attori stessi cercavano di arricchire i loro personaggi con sfumature diverse. Non a caso, Il Ministro vive e si nutre della forza dei suoi interpreti, più che della maestria tecnica del regista: per via del budget bassissimo, Amato era costretto a girare dalle sette alle nove pagine di sceneggiatura al giorno, per abbattere i costi e ridurre i tempi, affidandosi in buona parte all’esperienza e alla maestria degli attori. Molto del girato è stato anche tagliato nella fase finale di post- produzione, ovviamente sempre per esigenze tecnico- pratiche. Giorgio Amato è un regista abituato a girare con budget esigui, come già accaduto con le sue opere precedenti (Circuito Chiuso, The Stalker), in un paese come l’Italia dove girare un film indipendente è difficile e rappresenta una vera sfida: nonostante il riconoscimento, da parte del Ministero, del film (che ha investito anche un piccolo contributo), il vero ostacolo è stato trovare una casa di distribuzione disposta a rischiare, qui dove di solito non si ha nemmeno una risposta via mail, figuriamoci un sì.
Un’altra domanda, rivolta ancora ad Amato, si è concentrata soprattutto sulle qualità di scrittura: la tensione latente che costeggia ogni inquadratura del film nasce fin dalla stesura della sceneggiatura, per poi rendere più “semplice” la sintassi registica; la domanda che si rivolge ogni volta è “quanto ogni scena è in grado di far salire la tensione?” In base alla risposta valuta se tenerla o tagliarla. Una certa curiosità desta il taglio maschilista (nella prima parte) e successivamente femminista che sembra assumere l’occhio della macchina da presa nel rappresentare le situazioni vissute dai sei personaggi: in realtà l’attenzione non è tanto rivolta ad una differenza di gender, quanto ad un assunto fondamentale, legato alla visione dell’uomo – da sempre convinto di detenere il potere – mentre invece è la donna a prendere le decisioni. Molti uomini potenti – afferma Amato – sono caduti in disgrazia per via delle donne, che riescono a raggirarli. “L’amore è per pochi eletti, piuttosto nella società si tratta di una danza intorno al potere”. È Tognazzi a prendere la parola per ultimo, riconfermando che in realtà la pellicola non porta in scena un conflitto tra i sessi, ma un conflitto più amaro e radicato tra sei pessimi individui. Sei individui interessati solo al potere, ai vantaggi sociali e al lusso. I personaggi sono dei “nuovi mostri”, meschini, una carrellata di personaggi disdicevoli sui quali satireggiare. Secondo la Barela, calarsi nei panni di personaggi del genere è liberatorio per un attore: nonostante le paure di essere identificati con tali campioni di meschinità, con il conseguente rischio che il pubblico possa “incasellarli” di conseguenza: loro- in quanto gruppo di lavoro – non si sono posti questi problemi legati alla meschinità dei personaggi che si apprestavano ad interpretare, venendo quindi scelti a discapito di attori che si sono posti decisamente più problemi. Edoardo Pesce confessa, alla fine della conferenza, che il sentimento che prova nei confronti di Franco, Michele, Rita, Esmeralda e co. è un senso di tenerezza verso degli esseri umani che tentano di restare a galla in un sistema cinico ed aggressivo dove, chi non gioca con le regole giuste, rimane ai margini ritagliandosi il ruolo della vittima.