Il regista Bruno Oliviero presenta La variabile umana

La variabile umana conferenza stampaÈ stato presentato ieri alla stampa romana l’esordio alla regia nel lungometraggio di finzione del regista Bruno Oliviero, apprezzato autore di numerosi documentari su Napoli, sua città natale, e Milano, dove vive e dove ha scelto di ambientare questo La variabile umana, la cui presentazione ufficiale si terrà al Festival di Locarno il prossimo 9 agosto, mentre l’uscita nelle sale è prevista per il 29 agosto. Assieme a lui hanno preso parte all’evento i produttori Lionello Cerri di Lumière e Gabriella Manfrè di Invisibile Film.

 

Parlando di questo giallo e del suo protagonista, un ispettore burbero e introverso, alle prese con un omicidio e con un rapporto tutto da recuperare con la figlia adolescente, interpretato da Silvio Orlando, Oliviero afferma che l’ispirazione “viene da certa letteratura americana degli anni ’30, da autori come Chandler”, l’idea era quella di “un uomo che rappresentasse la legge, che fosse un po’ deluso rispetto alla sua carriera, richiamato da un fatto personale a ripensare il suo ruolo di uomo pubblico”.

Quanto hanno pesato le vicende d’attualità sul ritratto di Milano presente nel film?

Bruno Oliviero: “La prima idea del film è stata concepita prima delle notizie d’attualità. Evidentemente, per me che ho fatto documentari (…) e vivo a Milano da dieci anni, sentire il clima di un luogo è una delle mie prerogative. Le notizie di cronaca ci hanno piuttosto disturbato”, e ammette: “Questa ossessione di noi italiani per Berlusconi ha un po’ pesato sulla successiva costruzione del film. Ma soprattutto abbiamo osservato a lungo il clima che si viveva a Milano prima degli eventi di cronaca. Milano è una città che anticipa, nel bene e nel male, l’andamento dell’Italia negli ultimi anni, (…) è un generatore di miti”.

Ti sei sentito più libero di raccontare la realtà attraverso la finzione, rispetto al tuo precedente lavoro di documentarista? Quanto ha contato il messaggio sociale?

B. O.: “Ho cercato di raccontare questa piccola storia, che toccava la nostra società, essendo più preciso possibile nel racconto della città”. “La città doveva essere, ed è, un personaggio del film. È un po’ come la ragazza protagonista: è vilipesa, ma non ha responsabilità sue proprie”. “Mi sono sentito più libero che nel documentario ed ho scelto di passare da questo alla finzione per poter affrontare tutta la parte intima senza rischiare di essere voyeuristico, come accade quando lo si fa col documentario, dove si approfitta di vite reali. Qui ho potuto prendere pezzi di vite reali, o presunte tali, e offrire un racconto più approfondito. Il documentario, invece, deve rimanere sempre un passo indietro per essere rispettoso dei personaggi che rappresenta”.

Come ha scelto Silvio Orlando e Alice Raffaelli (di cui vediamo solo per un attimo la bellezza da donna, mentre si è scelto di omettere ogni aspetto pruriginoso dal punto di vista sessuale)?

B. O.: “Silvio Orlando c’è sembrato la scelta giusta, perché eccentrica rispetto ai ruoli che aveva già interpretato, rispetto al personaggio di Monaco, che non doveva riscuotere nessuna simpatia, mentre Orlando generalmente riscuote molta simpatia. In ogni opera prima si fanno delle scommesse, questa era una delle nostre, che mi sembra sia stata vinta”. Riguardo alla scelta di Alice, mix di bellezza adulta e tratti ancora acerbi: “Con Silvio abbiamo molto discusso dell’ambiguità del soggetto, perché quest’attrazione per i giovani corpi è legittima, in un certo modo. Quindi bisognava stare attenti a non escludere questa parte, a non far finta che non esistesse. Perciò Linda (Alice Raffaelli) doveva avere un corpo degno di essere ammirato e desiderato. Ma questo non fa sì che debba essere per forza una vittima”.

Com’è nata la scelta di non mostrare l’aspetto politico (lo scandalo è solo accennato)?

B. O.: “Questo per me è ciò che fa il cinema, lo si impara molto bene coi documentari (…): non si può non considerare che ciò che resta fuori dalla narrazione, fa comunque parte del racconto. Quanto più riesci a puntualizzare il racconto su un  dettaglio della vita, tanto più riesci a far immaginare ciò che c’è intorno”.

Nel film due uomini piangono, come mai questa scelta?

B. O.: “Sono due uomini che vedono la propria vita e tutto ciò in cui credevano, distrutti. (…) Visto che si parla di uomini che non vanno per il sottile, che i due personaggi principali fossero uomini e potessero piangere era un modo per renderli diversi dall’umanità che avevamo visto nel film. Inoltre, come documentarista (…) ho seguìto dei magistrati e ne ho visti piangere tanti in momenti difficili del loro lavoro, perché questi sono mestieri che mettono molto sotto pressione”.

Oliviero parla anche dell’esperienza di lavoro col musicista Michael Stevens, collaboratore storico di Clint Eastwood, e sottolinea come questi, provenendo dal cinema americano, si sia però “aperto a un’idea di cinema più europeo, nel quale la musica non copre tutto l’arco delle emozioni” Un lavoro di “adattamento del punto di vista musicale americano a un film europeo, e in particolare italiano”.

Visto il finale aperto, dobbiamo aspettarci altre avventure di Monaco?

B. O.: “Non lo so, per il momento non ci abbiamo pensato”.

Lionello Cerri: “Ma siamo pronti a vendere il format a qualche televisione”.

Il film sarà presentato al Festival di Locarno il 9 agosto, mentre lo troveremo nelle sale dal 29 agosto, distribuito da Bim.

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