Venezia 75: Julian Schnabel e Willem Dafoe presentano At Eternity’s Gate

At Eternity's Gate

Julian Schnabel inizia dicendo che At Eternity’s Gate non è una biografia, ma un approccio sensoriale. per prepararsi ha letto le lettere, che sono state il punto di partenza del film. Ha visitato il museo d’Orsay a Parigi, per restituire la stessa sensazione di quando si osservano le opere. Voleva restituire la sensazione di accumulazione che si prova dopo essere stati in un museo.

 

Dice che non si può spiegare il film. Mentre si lavorava allo sviluppo della sceneggiatura si aggiungeva sempre qualcosa. Quando lui ha chiesto all’ attore che fa il pazzo di scegliere e ripetere una parola lui ha scelto “sergente”, ma di non essere sicuro di riuscire a ripeterla.  Schnabel pensa che gli attori sono come foglie al vento.

Il regista è convinto che Van Gogh sia lucido e lo dice dopo aver letto le lettere, osservando i suoi dipinti. Nel film, quando dipinge dice che smette di pensare e il dottore con cui parla gli chiede se è una forma di meditazione. È un misto tra la consapevolezza di non potere avere un rapporto con gli altri e la rassegnazione al fatto di vivere poco.

Willem Dafoe racconta di aver preso appunti per prepararsi al personaggio e di aver  letto le lettere. Anche per lui è lucido, non è in grado di conciliare le sue visioni con la realtà. La malattia è un insegnamento attraverso la quale si può guarire.

Dice di aver letto e poi ha dipinto. Il regista gli ha insegnato a dipingere e la pittura lo ha aiutato a spostare il punto di vista, capendo che è un rapporto con la natura.

Schnabel dice che ha pensato subito a Willem Dafoe, lo conosce da trent’anni, è un attore fisico che aiuta gli altri attori. Tutti gli attori presenti nel cast sono stati la prima scelta, senza ripensamenti.

Schnabel dice che in tutti i dialoghi Van Gogh è una persona diversa, si rapporta diversamente a seconda di chi è l’ interlocutore e questo succede a tutti, voleva fermamente rappresentare questa cosa. Dafoe conferma che è vero, è diverso in ogni situazione. E anche gli altri personaggi sono adattabili. Quando dipinge esce fuori l’interiorità.

Alla domanda sull’ipotesi dell’uccisione di Van Gogh o di suicidio, il regista e lo sceneggiatore rispondono che non ci sono testimonianze sulla sua morte. La pistola non è stata mai ritrovata, e risulta strano suicidarsi e poi nascondere l’arma. Ha dipinto fino all’ultimo ogni giorno, non era depresso, cupo. Nel film inoltre si dice che gli appunti potrebbero essere veri ma non è una certezza. La persona che ha aiutato nelle ricerche, di enorme esperienza e credibilità, non aveva certo bisogno di notizie sensazionalistiche. Schnabel sostiene che il punto non è se si è trattato di suicidio. Ma le sue ultime parole sono state: non dare la colpa a nessun altro.

È stato chiesto se la conversazione con il prete su Gesù sia reale e se Van Gogh si considerava Gesu.

Schnabel dice che era molto religioso e conosceva benissimo la bibbia, per lui Gesù era un grande lavoratore e in questo sicuramente si identificava con lui. Ma nessuno era presente durante quella conversazione. È bello che dica che anche di Gesù si è cominciato a parlare trent’anni dopo la morte.

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