Bomber di Paul Cotter – recensione

bomberBomber di Paul Cotter è  una sorta di manufatto cinematografico,  di prodotto artigianale che ha in sè lo sforzo e l’anima dell’artigiano,  e che rappresenta l’esito artistico di una riflessione profondamente umana, low-budget e raffinata.

 

Al suo esordio nel lungometraggio, il talentuoso regista britannico sceglie di raccontare e osservare in prossimità un microcosmo familiare (padre burbero, madre docile, figlio ipersensibile), un nucleo mobile on the road bisognoso di tornare a comunicare, e di scoprire nel passato le ragioni che hanno determinato i silenzi nel presente. Quelli di Alistar in particolare, l’anziano capofamiglia mosso dalla misteriosa urgenza di raggiungere un luogo sconosciuto nel nord della Germania, di cui conserva soltanto una vecchia e sfocata fotografia aerea. Così, nonostante le riserve e le continue incomprensioni, moglie e figlio decidono di accompagnarlo in un viaggio che si rivelerà, tra un litigio e l’altro, e tra variegate manifestazioni d’isteria, l’occasione di riscoprire l’altro, riserva imperfetta ma imprescindibile di affetto e verità; nonchè di espiare finalmente un tragico errore, lontano ma sempre  doloroso.

Accolto con indifferenza nel suo paese d’origine, la Gran Bretagna, e invisibile ai più da quattro anni (risale al 2009 la sua realizzazione), Bomber ha però conquistato il successo di pubblico e di critica nei maggiori festival internazionali di cinema indipendente, manifestando una volontà ferrea e al tempo stesso dinamica di esprimersi attraverso un’Arte fresca, essenziale, capace di andare al cuore della rappresentazione, senza artifici e virtuosismi. Da questo punto di vista la penuria di fondi e mezzi a disposizione ha costituito per Cotter un’opportunità, quella di mettere alla prova il suo potenziale di regista e narratore in un  contesto che lascia poche prospettive, ma che di certo affina ingegno e abilità.

Il risultato è un film delizioso, convincente e che, per le dinamiche familiari messe in scene, non tarda a ricordare un altro stravagante viaggio in furgoncino, quello della famiglia Hoover di Little Miss Sunshine, dove era una bambina a innescare il motore dell’azione, accostata da altrettante buffe e instabili personalità, ciascuna a suo modo  malinconica ed esilarante. Qui però il corpo attoriale si restringe ulteriormente e, quasi ridotto all’osso, manifesta senza filtri la fragilità e la bellezza umana.

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