Dangerous Animals, recensione del film horror di Sean Byrne

Squali, serial killer e ironia pulp: Sean Byrne firma un B-movie ad alto tasso di sangue e divertimento, dal 20 agosto al cinema

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A dieci anni di distanza da The Devil’s Candy, il regista australiano Sean Byrne torna al cinema con Dangerous Animals, un film che mescola senza pudore horror acquatico e thriller psicologico, creando un ibrido iperbolico e consapevolmente sopra le righe. Presentato in anteprima a Cannes 2025 tra le fila della Quinzaine des Réalisateurs, questo guilty pleasure estivo si inserisce con gusto nella lunga tradizione del cinema di squali, rielaborandola attraverso un’impostazione visiva pop e un’ironia nera che non lascia spazio a sfumature. Il risultato? Un’esperienza volutamente eccessiva, più divertita che spaventosa, ma curata nei dettagli e più intelligente di quanto si potrebbe pensare.

Un serial killer con l’ossessione per gli squali

Il cuore pulsante di Dangerous Animals è Bruce (Jai Courtney), un ex marinaio disturbato e solitario che ha trasformato la sua barca in un’arena privata per sacrifici umani. La sua passione – o meglio ossessione – per i predatori marini lo ha portato a escogitare un rituale personale: rapire giovani donne, issarle sopra una gru e farle a pezzi davanti a una videocamera, per poi darne i resti in pasto agli squali. Un’estetica del sangue che ha più di un rimando alla pornografia del dolore e che Byrne filma con gusto retrò, quasi fosse un’installazione VHS fuori dal tempo (prestate attenzione a un hobby del villain che riguarda proprio le videocassette).

A contrastarlo c’è Zephyr (Hassie Harrison), una surfista dal carattere indipendente che si rifiuta di diventare l’ennesima vittima. Accanto a lei, Moses (Josh Heuston), giovane atleta sensibile e positivo, incarna un’idea di mascolinità alternativa, in netto contrasto con il machismo malato del villain. Il triangolo funziona proprio perché sovverte i codici del genere: la “final girl” non è una vittima ma un predatore a sua volta, e il mostro ha un volto umano, ma deformato da un’ideologia disturbante e autocompiaciuta.

Tra Spielberg e Buffalo Bill: un omaggio senza freni

Byrne non fa mistero delle sue fonti di ispirazione. Dangerous Animals arriva in sala a 50 anni esatti da Lo squalo di Spielberg e ne omaggia apertamente l’estetica marina, ma lo fa attraverso l’accelerazione della Serie B più sfacciata. I riferimenti non si limitano però al filone acquatico: il personaggio di Bruce strizza l’occhio al Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti, anche in momenti volutamente grotteschi come il balletto in accappatoio davanti alla telecamera.

Ma più che un collage di citazioni, Dangerous Animals è un film che conosce bene le regole del gioco e si diverte a ribaltarle. La fotografia di Shelley Farthing-Dawe alterna cromatismi saturi a sequenze notturne opprimenti, mentre gli effetti speciali – volutamente esagerati – restituiscono uno spettacolo pulp che sembra uscito da un fumetto horror underground. In questo senso, è un film che gioca con il cattivo gusto per trasformarlo in linguaggio.

Jai Courtney in Dangerous Animals
Jai Courtney in Dangerous Animals © Midnight Factory

Cinema pulp, ritmo e morsi letali

La forza di Dangerous Animals sta nella sua consapevolezza. Byrne costruisce una narrazione ipercalorica e viscerale, ma riesce a bilanciare le scene più efferate con dialoghi taglienti e una scrittura dei personaggi più curata del previsto. Zephyr, in particolare, sfugge al cliché della “final girl” per diventare una protagonista pienamente attiva, sarcastica e letale. Il film evita le trappole del girl power superficiale, costruendo invece un conflitto credibile tra la sopravvivenza e la follia.

Anche il villain, per quanto possa sembrare stereotipato in superficie, rivela tratti di umanità inquietante: la sua logica perversa, il bisogno di documentare le proprie azioni, l’adorazione per la forza distruttiva della natura, tutto contribuisce a renderlo più disturbante di quanto non sembri a una prima visione.

Anche il ritmo serrato gioca a favore: in appena 93 minuti, il film alterna sequenze di tensione, momenti di umorismo nero e splash di gore creativo, mantenendo sempre il tono di un divertissement per adulti.

Tra cinema di genere e intrattenimento consapevole

Dangerous Animals è tutto fuorché un film profondo, ma non è nemmeno un prodotto usa-e-getta. In un panorama horror sempre più polarizzato tra cinema d’autore e franchise seriali, l’opera di Byrne trova un suo spazio specifico: quello del B-movie curato, pensato per essere visto in sala, insieme a un pubblico che possa reagire, ridere, urlare e commentare.

È, in questo senso, un’opera quasi “comunitaria”, che riscopre la funzione originaria del cinema come rito collettivo. Come già accaduto con The Loved Ones e The Devil’s Candy, Sean Byrne dimostra di saper giocare con i generi e con le aspettative dello spettatore, e anche quando non punta in alto, riesce a centrare il bersaglio.

Dangerous Animals è un’esperienza selvaggia e liberatoria, che mescola squali, serial killer e femminismo punk in un’unica, bizzarra creatura. Non cerca la profondità, ma riesce a essere più intelligente di quanto il suo tono sopra le righe lasci immaginare. Tra eccessi visivi, personaggi ben scritti e una regia che non ha paura di osare, Sean Byrne firma un ritorno convincente, perfetto per chi ama il cinema di genere senza compromessi.

Dangerous Animals
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Sommario

Con Dangerous Animals, Sean Byrne mescola creature marine e thriller psicologico in un horror sopra le righe che omaggia Lo squalo con stile e sarcasmo. Un B-movie feroce e godibile, perfetto per l’estate.

Agnese Albertini
Agnese Albertini
Nata nel 1999, Agnese Albertini è giornalista e critica cinematografica per i siti Cinefilos.it, Best Movie e CinemaSerieTv.it. Nel 2022 ha conseguito la laurea triennale in Lingue e Letterature straniere presso l'Università di Bologna e, parallelamente, ha iniziato il suo percorso nell'ambito del giornalismo web, dedicandosi sia alla stesura di articoli di vario tipo e news che alla creazione di contenuti per i social e ad interviste in lingua inglese.

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