Timbuktu recensione film

Non esiste un vero e proprio protagonista nel film Timbuktu che il regista mauritano ha presentato a Cannes. Nella città di sabbia occupata dai talebani si incrociano i ritratti di diversi personaggi e delle loro  contrastanti personalità in conflitto, creando così un film corale, ironico e spietato come i suoi personaggi. Nella città islamica gli jihadisti impongono alle donne del deserto di indossare guanti e calzini, proibiscono thé, sigarette e ogni forma di divertimento. La jihad contro l’occidente è grottescamente condotta in una regione multietnica legata profondamente alla ruralità, ma le persone vengono arrestate perché suonano musica (anche se inneggiante ad Allah) o perché giocano a calcio. Surreale ma allo stesso tempo struggente la scena in cui un gruppo di ragazzi intraprende una partita di football, ma senza il pallone.  Tuttavia gli stessi miliziani fingono di sapere parlare arabo, comunicano con smartphone, entrano in moschea addobbati di Kalashnikov e discutono di Messi e Zidane.

 

Sullo sfondo di una natura selvaggia e incontaminata anche Kidane, il personaggio più simile a un protagonista, è ricoperto da un velo opaco (come quelli della tenda in cui vive attraverso cui è spesso inquadrato) che mistifica la sua personalità di buon padre e buon Mussulmano: uccidendo accidentalmente in una rissa Amadou che ha abbattuto la sua mucca preferita (chiamata GPS) si trova ad affrontare la “legge di Dio” importata dai talebani, che opprime tutti quanti, e difronte alla quale non esiste difesa.

Lo sguardo nostalgico di Sissako in Timbuktu ci mostra una realtà ancora carica di misticismo selvaggio che vive le contraddizioni della modernità filtrate da un potere talebano schizofrenico che non è in grado di convincere nemmeno chi lo esercita.

Timbuktu è un film carico di mistero e sospensione, emozionante come l’Africa che rappresenta, decisamente apprezzato con quindici minuti di applausi e tante recensioni positive che lo indicano tra i favoriti.

Di Enrico Baraldi

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RASSEGNA PANORAMICA
Enrico Baraldi
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cannes-2014-timbuktu-recensione-film-abderrahmane-sissakoUn film carico di mistero e sospensione, emozionante come l'Africa che rappresenta, decisamente apprezzato con quindici minuti di applausi e tante recensioni positive che lo indicano tra i favoriti.