El Campo: recensione del film

El Campo

In El Campo Santiago (Leonardo Sbaraglia) ed Elisa (Dolores Fonzi) sono una giovane coppia che decide di trasferirsi in una casa di campagna e concedersi un periodo di tempo lontano dalla frenesia della città e del lavoro. Santiago ed Elisa hanno una bambina di un anno e mezzo, Matilda, che nella nuova abitazione mostra immediatamente di trovarsi a disagio. Di notte, al loro arrivo, la casa si presenta con il decadente fascino di una casa da lungo tempo disabitata. Santiago ne è entusiasta mentre Elisa avverte, senza riuscire a spiegarselo, uno strano senso di inquietudine, destinato a crescere e diventare sempre più opprimente nei giorni seguenti.

 

Presentato durante lo scorso Festival di Venezia nella sezione collaterale La Settimana Internazionale della Critica, El Campo di Hernan Belon è un thriller psicologico votato al minimalismo, che fa della rarefazione degli spazi e degli accadimenti, nonché della dilatazione dei tempi, la sua cifra stilistica.

El Campo è il racconto di una crisi interiore, quella di una donna, Elisa che sradicata dalla grande città e confinata nella desolazione di una tenuta campestre. Il disagio e la frustrazione della donna diventano sempre più palpabili e finiscono col minare il rapporto con il marito, oltre a mettere in discussione le certezze di Elisa su ciò che può essere considerato reale o meno. A poco a poco, nel momento in cui inizia a percepire la crisi di Elisa e ad esserne coinvolto, Santiago diventa un osservatore ravvicinato attraverso cui lo spettatore dovrebbe vedere e vivere l’interiorità scossa e smarrita della donna.

Il riferimento principale di El Campo pare essere il cinema di Roman Polanski (in modo particolare Rosemary’s Baby e L’inquilino del terzo piano per la presenza di vicini inquietanti e potenzialmente diabolici), con i piani di realtà e di allucinazione che si (con)fondono, rendendo impossibile una lettura certa e univoca di quanto accade sullo schermo.

Il regista argentino Hernan Belon però non è Roman Polanski (e ci mancherebbe!) e gestisce assai male il potenziale narrativo di cui dispone, perdendosi in lungaggini, inutili reiterazioni e cadute di ritmo che fanno di una pellicola di soli ottantacinque minuti una litania arrancante, priva di mordente e poco ispirata. Completamente decentrato a livello di costruzione narrativa, El Campo soffre di una premessa estenuante, tirata inutilmente per le lunghe, priva di tensione (anche solo latente) e capace di tenere desta l’attenzione dello spettatore in attesa della risoluzione. Quando poi la storia sembra entrare nel vivo, tutto si risolve frettolosamente, in maniera pasticciata, superficiale, prevedibile (un costante senso di deja vu permea la pellicola dalla prima all’ultima inquadratura) e assai poco interessante.

Poche idee e ben confuse quindi per Hernan Belon che con El Campo confeziona un prodotto di esiziale mediocrità. Nota di demerito per il pessimo doppiaggio italiano, al limite del dilettantismo.

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