Arturo è un gallerista rinomato di Buenos Aires. Ha attenzione soprattutto per gli autori contemporanei, ma è legato da un’indistricabile amicizia a Renzo Nervi, un artista argentino molto famoso negli anni ’80 ora pressocchè dimenticato, forse a causa del suo carattera burbero.
Il caso, le coincidenze e un colpo di genio, porteranno questa storia, e questa amicizia, a un livello differente.
Presentato in selezione ufficiale alla 75a Mostra del cinema di Venezia, Il mio capolavoro – Mi obara maestra, secondo lavoro di Gaston Duprat che arriva nelle nostre sale dopo il divertente e premiatissimo (anche a Venezia: Coppa Volpi) El Ciudadano Ilustre, ritorna sul selciato della commedia cinica e nera, mettendo in scena l’ipocrisia dell’arte degli artisti e soprattutto di chi l’arte la guarda, senza, probabilmente, capirci nulla.
Renzo è un pittore arrivato agli 80 anni, ha vissuto e goduto la sua vita da artista a modo suo, e i suo lavori sono stati apprezzati e venduti, per tutti gli anni ’80. Era ricco, ora abita in una casa diroccata in affitto, con la possibilità di essere cacciato.
Arturo si è invece tenuto al passo con i tempi: gallerista di fiducia di Renzo, ha tenuto la mente aperta per i cambiamenti dell’arte e delle persone che comprano l’arte, senza mai perdere di vista il suo migliore amico.
Arturo ha un carattere complementare a Renzo e i due sono indivisibili. Nonostante le distanze e le differenze, per quanto si allontanino, tornano sempre insieme.
Duprat realizza un film sull’arte e sulla percezione della stessa, su come tutto questo sia volatile e suscettibile a variazioni imprevedibili che sicuramente non hanno a che fare con l’opera stessa.
Il film è pieno di arte vera: Carlos Gorrianera è il vero pittore dietro alle opere di Renzo, e Carlo Herrera è un artista argentino esistente. Il mio capolavoro, come The square, indaga l’arte, la sua illusione e il mondo che le sta intorno, ma anche l’amicizia che va oltre ogni valutazione.
Quindi il capolavoro del titolo è la vita stessa, nel suo compimento e nella sua varietà. Non è il lavoro, non è la fama, non sono i soldi, è la variabile quotidiana che ci troviamo di fronte. Si è vivi, secondo quello che sembra pensare Renzo, nel momento in cui si decide di non essere morti.
Il mio capolavoro è ambientato prevalentemente a Buenos Aires, ma ha due altre location di eccezione: Rio de Janeiro e la provincia di Jujuy terra della montagna dai 7 colori che aggiunge un elemento onirico soprattutto alla parte finale del film.