

Rischioso, perché si presta alle cadute di stile nel patetismo gratuito e nelle lacrime facili, romanzando le storie di personaggi dalle esistenze più o meno, globalmente, famose.
Mister
Chocolat racconta la storia abbastanza nota (in
Francia, perché da noi è praticamente sconosciuta) del primo clown
di colore della storia, l’haitiano Raphael Padilla, diventato
famoso nella Parigi della Belle Èpoque col nome d’arte di Mister
Chocolat. Insieme al “clown bianco” Footit hanno formato una delle
coppie d’oro che ha rivoluzionato l’arte circense, allargando il
numero dei suoi fruitori e consumatori, dei semplici appassionati e
di tutti coloro che l’hanno trasformata in una ragione di vita. Ma
il film di Zem non si limita a raccontarci la figura del clown, la
maschera buffa sotto le luci scintillanti della ribalta: il
regista, con il suo personale punto di vista, sceglie di romanzare
la storia – per via delle informazioni lacunose a disposizione-
raccontando l’uomo dietro la maschera, quel Raphael che tanto
lottò, in vita, per raggiungere una piena consapevolezza del suo
status e della sua condizione di artista indipendente di colore,
l’unico nel suo genere sulle scene della rivoluzione del secolo.

