Niente da dichiarare

Le forme più ottuse e grottesche che possono scaturire dalla xenofobia sono per Dany Boon una ricca miniera di spunti. Il regista di Giù al Nord (successo francese più conosciuto in Italia per il discutibile adattamento Benvenuti al sud, di Luca Miniero) con Niente da dichiarare, nelle sale italiane dal 23 settembre, torna a parlare di razzismo campanilista. Stavolta lo fa contrapponendo una nascente Europa senza confini, alle barriere mentali che impediscono persino di conoscere il proprio vicino di casa: “Non ce la faccio ad amare il mio prossimo quando è francese” dice al prete che lo sta confessando un’esilarante Benoit Poelvoorde, l’attore belga che interpreta un “francofobico”.

 

La spunto di Niente da dichiarare è semplice ma originale: la comunità europea ha deciso che dal primo gennaio del 1993 le frontiere saranno aperte; la notizia turba i doganieri di due paesi confinanti: quelli di Corquain, cittadina francese e quelli belga di Koorkin. Ruben Vandervoode (Poelvoorde) è, tra i doganieri belga, il più xenofobo, sprezzante e violento verso tutti i francesi e soprattutto verso Mathias Ducatel (interpretato dallo stesso Boon). Mathias è però segretamente innamorato di Olivia (Christel Pedrinelli), la sorella di Ruben.

Niente da dichiarare, il film

Con la speranza di conquistare l’amicizia di Ruben e dichiarare ufficialmente la sua relazione con Olivia, Mathias accetta di essere il partner dello xenofobo belga per formare la sperimentale squadra mobile di pattugliamento. Solo superando, con grande difficoltà e molti momenti comici, le barriere del razzismo, i due potranno fermare una banda di trafficanti di droga e, soprattutto, scoprirsi veri amici. La strana coppia Boon-Poelvoorde è perfetta nei tempi comici, con il belga sopra le righe nei suoi accessi d’ira alternati a momenti di ingenuità quasi infantile e il francese che si barcamena tra crisi di nervi frenate e puro timore per la follia omicida, sempre sull’orlo di esplodere, del compagno.

Bravi tutti gli altri interpreti, dalla ribelle Olivia (Christel Pedrinelli) ai cattivi trafficanti di cocaina: il capo Duval (Laurent Gamelon, amato dal regista che già lo ha diretto in La maison du bonheur) e l’imbranato scagnozzo Tiburz (Bruno Lochet), occhi strabici e humor spiazzante alla Igor (M. Feldman) di Frankestein Junior. Bravissimo Boon che riesce a orchestrarli con brio e senso della misura bissando il felice esito di Giù al Nord. Il regista e sceneggiatore usa l’arma dell’ironia e della pura comicità per condannare il razzismo, senza rinunciare a momenti crudi che valicano la commedia nera: quando Vandervoorde punta la pistola contro Mthias, che dopo avergli rivelato il suo amore per Olivia è corso da lei e la protegge tra le braccia, la tensione che si percepisce è quella di una tragedia sfiorata (fortunatamente).

I vari registri si armonizzano alla perfezione e Niente da dichiarare non scade né nel bozzettismo, né nel didascalismo, sebbene lo sviluppo del soggetto si prestasse a questi rischi. Persino la semplice morale, che trova esplicita voce nel figlio di Vandervoorde, non suona retorica: “il mondo è di tutti e non ha frontiere”. Per altro prontamente seguita da una coda agrodolce che le fa da contrappunto.

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