Outrage Coda: recensione del film di Takeshi Kitano

Outrage Coda

Si conclude la 74° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, con la sua convincente e solida selezione di opere. In attesa della cerimonia di premiazione e di sapere chi saranno i vincitori, è stato proiettato il film di chiusura Outrage Coda, l’ultima fatica di Takeshi Kitano.

 

In Outrage Coda Otomo, è un sopravvissuto di una sanguinosa guerra tra organizzazioni criminali giapponesi. Ora lavora in Corea del Sud alle dipendenze di Chang, un un potente criminale che ha contatti anche con la Yakuza in Giappone. Uno sgarro in Corea nei confronti di Otomo, a opera di un inetto affiliato della lontana e potente famiglia Hanabishi, scatenerà una guerra con l’organizzazione di Chang e all’interno della gerarchia della stessa Yakuza, facendo vacillare i delicati equilibri di potere tra i vari esponenti. Il  conflitto  assume dimensioni irreparabili e sfugge completamente di mano. Quando anche la vita di Chang verrà messa in pericolo, Otomo decide di tornare in Giappone per sistemare la faccenda personalmente e definitivamente.

Kitano sostiene che in questo film non voleva  affermare la violenza, quanto piuttosto far sentire il vuoto e la tristezza che vi stanno dietro.

Outrage Coda è prodotto, diretto e interpretato, con lo psudonimo di Beat Takeshi, da Takeshi Kitano, autore di culto che ha regalato opere memorabili, come Sonatine (1993), Dolls (2002) e Zatoichi (2003). Il film è uno yakuza-movie che percorre pedissequamente tutti i canoni e gli stilemi di questo genere cinematografico nipponico. E’ sorretto da una buona interpretazione, volutamente classica e stereotipata, da parte di tutto il foltissimo cast, sormontato da tutti da un convincente Beat Takeshi.

Outrage Coda risulta comunque estremamente verboso, privo di ritmo, faticoso da seguire, soprattutto per i continui intrecci gerarchici che man mano si avvicendano in una guerra futile e già vista sullo schermo innumerevoli volte. L’azione latita, le storie dei personaggi, quella di Otomo soprattutto, risultano deboli, gli sprazzi di violenza non ce la fanno a sorreggere tutta la fragile impalcatura filmica e il finale, seppure convincente, appare debole e prevedibile.

Un Kitano di servizio, stanco e ben lontano dai capolavori di poesia o violenza che lo hanno fatto amare al pubblico di tutto il mondo.

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