Valerio e Cristian,
detto Scheggia, sono due grandi amici. Si conoscono da una vita e
da una vita si arrangiano per tirare avanti. Valerio vorrebbe fare
l’attore ma il suo agente non lo spinge quanto dovrebbe e lui, non
avendo una lira per permettersi le public relations necessarie a
sfondare, campa di lavoretti nei fast food e feste per bambini.
Divide un appartamento con la ragazza, Serena e si trova spesso
costretto a chiedere una mano alla sorella, Giovanna appassionata
di cucina cinese e di medicina olistica. Gli affari di Cristian
invece sono assolutamente illegali ma molto più redditizi,
nonostante ciò Scheggia non si decide a lasciare la casa della
nonna, dove vive ormai da tempo. Piccoli spacci, carichi di strane
droghe e spacciatori internazionali, questo il giro nel quale
Scheggia si distingue e Valerio finisce per farsi coinvolgere.
L’incontro con Mei Mei, una ragazza cinese segregata in un
appartamento e costretta a prostituirsi cambierà la vita dei
quattro ragazzi, costringendoli a fare i conti con le loro
delusioni e le loro prospettive.
Il film si può
comodamente incasellare nell’ambito delle commedie generazionali
“off”. Perché se da una parte i vari Moccia, Brizzi e Genovese ci
hanno mostrato gli adolescenti laccati e glamour dei quartieri
alti, da tempo si trova nelle sale italiane anche un altro tipo di
racconti, che hanno come protagonisti giovani meno patinati e con
storie più dure alle spalle (tra i più famosi ricordiamo
Alì ha gli occhi azzurri, Good Morning
Aman) e che si rifanno ad una poetica quasi
neorealista. Attori professionisti, ma non ancora famosi spesso
alla loro prima o seconda apparizione cinematografica, macchina a
mano e fotografia spesso sporca e volutamente distratta, che si
dimentica di mettere a fuoco gli attori che stanno parlando o di
allargare il quadro per includere tutti i protagonisti,
sceneggiature spesso forti ma prive di un ritmo che ti cattura.
Elementi questi che spesso non provengono da una genuina scelta
poetica, ma sembrano piuttosto studiati a tavolino per rendersi
subito riconoscibili come “indipendenti”.
La recitazione è strascicata e (troppo) naturale, talmente tanto da rendere difficile, in alcuni casi, addirittura la comprensione dei dialoghi. Nonostante questo la storia ha una sua intima tenerezza, che non si perde mai e che non diventa schiava né dell’abusato a lieto fine né dagli “spiegoni” a tutti i costi. I personaggi ci regalano da subito una tale familiarità da permetterci anche di odiarli, e da non lasciarci a bocca asciutta quando il film finisce senza sapere come verranno a capo di tutti i loro problemi. Perché ci sembra, chissà come mai, che potremmo trovarli da un momento all’altro su un autobus, in un bar o all’Università, e poterglielo chiedere di persona, come è andata a finire “quella storia”.