The Book of Vision, recensione del film di Carlo Hintermann #Venezia77

In apertura della 35° Settimana Internazionale della Critica, il film d'esordio di Carlo Hintermann, una co-produzione Citrullo International, Entre Chien et Loup, Luminous Arts Productions con Rai Cinema. Produttore esecutivo Terrence Malick

The Book of Vision

Dopo una lunga carriera nel mondo del cinema, tre documentari e un credits anche in The Tree of Life di Terrence Malick come unità italiana, Carlo Hintemann esordisce alla regia con The Book of Vision, che realizza in collaborazione con il co-regista di The Dark Side of The Sun, Lorenzo Ceccotti (LRNZ), in questa sede Conceptual Visual Designer e autore del suggestivo poster.

 

The Book of Vision, la storia tra passato e presente

Il film, scelto come apertura della 35° Settimana Internazionale della Critica a Venezia 77, racconta una “visione trascendente e immanente della natura” che si infiltra nei corpi in continuo mutamento e li fa dialogare con l’ambiente, con la natura stessa. Questo dialogo continuo tra pieni e vuoti, natura e uomo, passato e presente, si concretizza in primo luogo nella struttura narrativa del film. La storia racconta di Eva (Lotte Verbeek), una giovane e promettente dottoressa, che decide di abbandonare la sua carriera per immergersi nello studio della Storia della medicina e mettere in discussione tutto ciò in cui ha sempre creduto: la propria natura, il proprio corpo, la propria misteriosa malattia e un destino che sembra segnato.

Nelle sue ricerche, Eva si imbatte nel Libro della Visione che la porta dentro le memorie di un medico prussiano del Settecento, Johan Anmuth (Charles Dance), un umanista della medicina che, a differenza dei dottori moderni, pensava fosse importante prendersi cura del paziente nella sua interezza di essere umano, non soltanto della malattia con un approccio scientifico. Attraverso quelle parole, Eva diventa Elizabeth, un nobildonna prussiana, in cura (e segretamente innamorata e ricambiata) da Anmuth. La storia di quello che sembra essere l’ultimo dei medici umanisti e di questa affascinante e malinconica donna diventano una seconda vita per Eva, una proiezione di sé nel passato, un ponte emozionale che le fa vivere due vite in una e le permette di affrontare la sua malattia e la sua condizione con uno stato d’animo più saldo e sicuro.

the book of vision film 2020Suggestioni per immagini che mettono da parte la logica

L’andamento ondivago del racconto di Hintermann, perso tra passato e presente, tra fantasia e realtà, si presta principalmente ad una fruizione emotiva, perché se da una parte lo sguardo è completamente rapito dalla totale bellezza dell’immagine, dall’utilizzo della luce alla scelta di posizionamento della camera che crea angoli e suggestioni insolite, questa visione così alta e poetica si scontra con una apparente incapacità di tenere il testo ancorato alle immagini, in cui la struttura narrativa che si perde, per ritrovarsi soltanto nel finale, lasciando però qualche vuoto, qualche nesso logico pendente.

I volti degli interpreti, guidati dall’affascinante Lotte Verbeek (Eva/Elizabeth) si confondono tra passato e presente, dal momento che quasi tutti loro interpretano due ruoli differenti nelle due linee temporali, e questa doppia presenza, specialmente per Verbeek e per Charles Dance, rafforza ancora di più la suggestione di connessione universale tra i moderni scienziati che cercano una verità andata perduta, e i vecchi “lettori” del creato, esseri umani protesi ad ascoltare i messaggi che la Natura stessa è in grado di comunicare loro. Soprattutto la parte della storia ambientata nel passato si avvale di alcune invenzioni visive che catturano l’immaginazione e la trascinano dentro al racconto, come il misterioso “albero dei morti” che il fuoco dell’industria vuole abbattere, o la foresta stessa che respira e comunica con chi possiede l’indole propensa ad accoglierne le verità.

Il debito verso Malick

In The Book of Vision, il libro della visione non è soltanto l’oggetto fisico, ma è il film stesso che diventa impressione colma di spunti filosofici che se da una parte non vengono del tutto affrontati o approfonditi, sono comunque dettagli che rivendicano la loro presenza e contribuiscono alla ricca e selvaggia confusione che trasuda da ogni inquadratura. L’occhio di Hintermann è stato sicuramente educato dalle sue collaborazioni prestigiose tanto che in più di un’occasione si possono notare scelte che omaggiano smaccatamente il cinema di Terrence Malick, che qui compare come produttore esecutivo.

The Book of Vision è un’opera che lascia interdetti sul piano narrativo, confondendo lo spettatore con una resa da sceneggiatura che forse avrebbe meritato maggiore attenzione, ma che allo stesso tempo riesce a parlare allo spirito, alla pancia dello spettatore, attraverso la bellezza luminosa delle immagini che lo compongono.

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RASSEGNA PANORAMICA
Chiara Guida
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Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.
the-book-of-vision-hintermannThe Book of Vision è un’opera che lascia interdetti sul piano narrativo, confondendo lo spettatore con una resa da sceneggiatura che forse avrebbe meritato maggiore attenzione, ma che allo stesso tempo riesce a parlare allo spirito, alla pancia dello spettatore, attraverso la bellezza luminosa delle immagini che lo compongono.