Tusk: recensione del film di Kevin Smith

Al Festival di Roma 2014 arriva anche Tusk, ultima creatura di Kevin Smith.

 

In Tusk Wallace, un giornalista radiofonico rampante, si reca in Canada per intervistare Kill Bill Kid, un giovane demente che si è tagliato una gamba giocando con una spada. Ma una volta arrivato, scopre che il ragazzo si è suicidato il giorno precedente. Per non buttare i soldi spesi per il viaggio, comincia a cercare un altro soggetto da intervistare e trova un volantino in un bagno di un pub, dove un vecchio marinaio offre alloggio gratuito a persone disposte ad ascoltare le sue avventure. Wallace si reca da lui, ascolta le sue mirabolanti avventure di viaggio e viene drogato. Quando si risveglia è su una sedia a rotelle, privo di una gamba e in balia del vecchio marinaio, che in realtà è un folle con la fissazione dei trichechi. Per Wallace è l’inizio di un incubo.

Nel territorio del cinema di genere, e soprattutto nella giungla dei sottogeneri, si è veramente visto di tutto e non basta cambiare il soggetto della fissazione del maniaco di turno per essere originali.

Il problema più grande di Tusk è il non dichiarare mai un canone preciso. Non si capisce se vuole essere una commedia horror, perché le gag e le battute sono disseminate tra dialoghi fiume estremamente lunghi e dilatati, e non convince neanche come horror, perché la creatura e gli effetti prostetici sono così maldestri da sfiorare l’effetto ‘costume di carnevale’. E’ chiaro che l’intento del regista è quello di stupire con un andamento grottesco, scanzonato, a tratti rivoltante, ma non e riesce a tenere le briglie e il tutto imbizzarisce caracollando miseramente. Smith non riesce ad essere folle e geniale come Takashi Miike, oppure autore grottesco e visionario come Terry Gilliam, e neanche sapiente confezionatore di prodotti horror di serie B, come Eli Roth o Alexandre Aja.

Tusk recensione 2Tusk non spaventa, non ci sono momenti di tensione o di apprensione per il protagonista. E allo stesso tempo non diverte, le battute sono poche e molte volte di dubbio gusto e le trovate comiche o grottesche sono al limite dell’amatoriale, tanto da sembrare errori, piuttosto che scelte, oltre al fatto che si rasenta il cattivo gusto più di una volta.

Il cast, anche se importate, non aiuta. Johnny Depp è una macchietta irriconoscibile e priva della solita verve istrionica ed esagerata che lo caratterizza solitamente in ruoli simili. Haley Joel Osment, quasi irriconoscibile, sovrappeso e ben lontano dalla bravura che lo caratterizzava solo qualche anno fa, farebbe prendere uno spavento (per lo stupore) anche alla gente morta che vedeva da bambino. Anche il protagonista Justin Long è tutt’altro che memorabile.

Siamo naturalmente lontani dal Kevin Smith di Clerks del 1994, ma anche del più affine Dogma del 1999, dove nonostante alcune cose non troppo convincenti si respirava comunque originalità e fantasia sovversiva.

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