
Per quanto le sue storie giovanili procedano con calma, alla pari di un Gus Van Sant che però predilige i silenzi e la sperimentazione, il regista sembra aver sempre avvertito il bisogno di coglierle allo scadere di un evento, e può trattarsi di un’imminente separazione (la trilogia dei Before) o di un’iniziazione scolastica. In Dazed and Confused, i ragazzi festeggiavano l’ultimo giorno di scuola prima del congedo estivo, l’anno era il 1976, e cinque anni più tardi, in un cinematografico 1981, Linklater torna esattamente dove li aveva lasciati un ventennio fa, all’alba dell’ingresso al college di uno studente, giocatore di baseball, Jake Bradford.

Gli ultimi momenti, poiché tali e pertanto irripetibili, assumono nel loro scorrere leggeri un significato assoluto, nel senso reale del termine, cioè divincolato da qualsiasi struttura, e l’emozione che ci aggrega ai personaggi è la stessa che non vorrebbe vederli andare via una volta accese le luci in sala. La verità è che i film di Linklater, e Tutti Vogliono Qualcosa lo ribadisce, sono così meravigliosamente unici perché capaci di creare un’empatia che oltrepassa le frontiere della finzione. Ogni istantanea di questi teenager, anche se in apparenza banale, si gonfia all’inverosimile ed esprime una profondità inattesa, uno studio sociale, culturale, addirittura filosofico sul tempo che stanno vivendo. Il tempo è l’unità di misura che il regista texano manipola come un fine artigiano accarezza l’argilla creando forme morbide, magnetiche, rigide se necessario. “Trovare l’essenza all’interno della struttura, questa è l’arte”. Richard Linklater ci è riuscito, un’altra volta.

