
Giorni, ore, secondi, sono
le piccole unità di tempo l’oggetto di studio del cinema di
Richard Linklater, “sospeso” come un
fermo-immagine di epoche e persone che le abitano. Non esistono
frontiere nei suoi film, che abbandonano ogni struttura per
concedersi all’essenza del momento raccontato, esistono soltanto
spazi in cui si consuma, molto semplicemente, la vita. Come fa un
fiammifero una volta acceso, che brucia con ardore fino allo
spegnimento, ed è proprio nella fase di maggior calore che
Linklater posa lo sguardo tenero, protettivo e vivace, grazie al
quale abbiamo compreso davvero il valore dell’esistenza e la forza
di un attimo.
Per quanto le sue storie giovanili procedano con calma, alla pari di un Gus Van Sant che però predilige i silenzi e la sperimentazione, il regista sembra aver sempre avvertito il bisogno di coglierle allo scadere di un evento, e può trattarsi di un’imminente separazione (la trilogia dei Before) o di un’iniziazione scolastica. In Dazed and Confused, i ragazzi festeggiavano l’ultimo giorno di scuola prima del congedo estivo, l’anno era il 1976, e cinque anni più tardi, in un cinematografico 1981, Linklater torna esattamente dove li aveva lasciati un ventennio fa, all’alba dell’ingresso al college di uno studente, giocatore di baseball, Jake Bradford.
Tutti vogliono
qualcosa (Everybody Wants
Some, dal titolo di una canzone di Van
Halen) è il seguito spirituale di Dazed and
Confused, per l’assoluta aderenza ai
leitmotiv principali, che possono essere il gruppo
sportivo come forza motrice o l’atmosfera che ricrea la moda del
tempo, ma soprattutto per la cura dei dialoghi torrenziali come
nella ormai consolidata tradizione del cineasta, mai casuali e
pronti a sconvolgere la nostra attenzione (spesso proprio sul
finale) come uno schiaffo in viso a chi resta sopito davanti al
noioso spettacolo della normalità.
Gli ultimi momenti, poiché tali e
pertanto irripetibili, assumono nel loro scorrere leggeri un
significato assoluto, nel senso reale del termine, cioè divincolato
da qualsiasi struttura, e l’emozione che ci aggrega ai personaggi è
la stessa che non vorrebbe vederli andare via una volta accese le
luci in sala. La verità è che i film di Linklater, e
Tutti Vogliono Qualcosa lo ribadisce,
sono così meravigliosamente unici perché capaci di creare
un’empatia che oltrepassa le frontiere della finzione. Ogni
istantanea di questi teenager, anche se in apparenza banale, si
gonfia all’inverosimile ed esprime una profondità inattesa, uno
studio sociale, culturale, addirittura filosofico sul tempo che
stanno vivendo. Il tempo è l’unità di misura che il regista texano
manipola come un fine artigiano accarezza l’argilla creando forme
morbide, magnetiche, rigide se necessario. “Trovare l’essenza
all’interno della struttura, questa è l’arte”. Richard
Linklater ci è riuscito, un’altra volta.