
L’eroe dell’infanzia per un bambino può essere uno sportivo, un personaggio dei fumetti o del cinema. Per Aaron Brookner quell’eroe era e resta suo zio Howard Brookner, scrittore, regista e produttore della scena cinematografica indie newyorchese tra gli anni Ottanta e Novanta, morto a causa dell’Aids pochi giorni prima di compiere 35 anni. L’impegno di preservare dall’oblio la vita e l’opera del giovane artista converge nel documentario Uncle Howard, presentato al Sundance Film Festival e al Biografilm Festival di Bologna.
La svolta per Aaron
Brookner è l’accesso al Bunker, il leggendario studio nel Lower
East Side di William S. Burroughs, lo scrittore ispiratore della
beat generation, che Howard aveva avvicinato con l’obiettivo di
realizzare un documentario sulla sua figura: un progetto poi
concretizzatosi con Burroughs The Movie,
terminato nel 1983. Così come Howard riuscì a vincere la nota
diffidenza dello scrittore, così il nipote Aaron supera la
resistenza del curatore del Bunker, il poeta John Giorno,
ritrovando nello studio un prezioso archivio di materiale e
pellicole relativo al doc di Howard Brookner.
Aaron mostra le sequenze inedite e i filmati recuperati a chi aveva lavorato a Burroughs The Movie come Jim Jarmusch (era il fonico) e Tom DiCillo, restituendo allo spettatore non solo la personalità di Howard regista ma il ritratto di una New York in fermento e di un movimento, quello della cultura underground, che avrebbe influenzato le generazioni successive. Purtroppo, poco o nulla è rimasto del successivo documentario di Howard: Robert Wilson and the Civil Wars (1987), dedicato alla performance mai realizzata progettata dal regista Robert Wilson per le Olimpiadi estive del 1984.
I video-diari di Howard Brookner, le scene dei suoi film, spezzoni di home movie e fotografie ricostruiscono, insieme alle interviste di Aaron a quanti lo hanno conosciuto e amato, il profilo di un uomo e di un cineasta maturo nonostante la giovane età, la cui anima sembra sfuggente davanti alla camera ma il cui ascendente su chi lo circondava risulta evidente. Affascinante, colto, amante della vita notturna, Howard Brookner condusse la sua esistenza appieno, fino in fondo.
Membro della prima
generazione in grado di vivere liberamente la propria
omosessualità, Howard non fu risparmiato dall’Aids, così come molti
altri artisti in quegli anni. Già conscio di essere sieropositivo,
gira I maledetti di Broadway, primo
lungometraggio di finzione con Matt Dillon, Jennifer Grey, Rutger
Hauer e Madonna, rinunciando all’Azt per mantenere la lucidità
durante le faticose riprese. Uncle Howard
non è solo il commovente omaggio personale di un nipote
affezionato, ma anche il ricordo sentito di una generazione
falcidiata dall’Aids, malattia colpevolmente trascurata fino ad
assumere i contorni di un’epidemia, e la testimonianza di un
momento storico, artistico e culturale che merita di non andare
perduto.