#RomaFF12: Valley of Shadows, recensione del film di Jonas Matzow Gulbrandsen

Valley of Shadows

Valley of Shadows, presentato in anteprima al Toronto International Film Festival, fa parte della selezione ufficiale della Festa del cinema di Roma 2017 ed è scritto e diretto da Jonas Matzow Gulbrandsen.

 

Il film narra una vicenda tragica pennellandola con tinte fiabesche e immaginifiche. In un villaggio tra il mare e le montagne norvegesi, il piccolo Aslak, dopo aver visto tre cadaveri di pecore dilaniate, si avventura in un viaggio sempre più misterioso.

Il regista dialoga con l’abitazione dalle stanze anguste e spoglie delle case e con il paesaggio montuoso circostante e utilizza maggiormente  inquadrature serrate raramente intervallate da  inquadrature più ampie. Il tutto avvolto nella semioscurità di rado rischiarata da fuoco, da raggi lunari o da un pallido sole.  Il ritmo narrativo è molto lento, soprattutto nella parte centrale del film e i dialoghi sono scarni: Gulbrandsen lascia spesso  parlare la natura (vento, scorrere dell’acqua) e riempie i silenzi con la musica solenne composta da Zbigniew Preisner. Tutti questi elementi contribuiscono a creare un’atmosfera suggestiva e misteriosa. La fotografia sottolinea queste caratteristiche con una resa dai contorni sfumati.

Valley of Shadows

Per quanto riguarda i personaggi il piccolo Aslak, interpretato da Adam Ekeli, è un bambino dotato di grande curiosità che lo spinge ad avventurasi in luoghi che non conosce oltrepassando i confini che gli adulti gli impongono. Lui è il vero perno del racconto ed è il personaggio meglio tratteggiato. È spesso da solo e guarda avanti senza lasciarsi sopraffare dalla paura.  La madre Astrid, interpretata da Katherine Fagerland, è una donna razionale ancorata alla realtà dei fatti anche quando questi sono tragici. È confinata nel suo mondo e mai si sognerebbe di andare oltre. Lasse, amico di Aslak, e il padre appartengono a quel genere di persone che si lasciano convincere dalle credenze popolari e prendono tutto alla lettera. Lo prova il fatto che Lasse mostra ad Aslak un libro con illustrazioni mostruose appartenenti al mondo fiabesco ed è convinto che simili creature esistano veramente. Astrid e Lasse hanno un ruolo marginale nella storia proprio perché il regista ha voluto dare risalto alle larghe vedute di Aslak.

Il regista, al suo primo lungometraggio, realizza un prodotto in cui lascia parlare soprattutto i bambini mostrando come siano in grado di andare oltre e di vedere le cose con occhi diversi senza distorcere la realtà, con un richiamo, voluto o meno, all’Io non ho paura di Gabriele Salvatores. Il racconto  manca di picchi di tensione, di depistaggi, di colpi di scena  che avrebbero dato più sapore al tutto.

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Maria Vittoria Guaraldi
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