american anarchist

 

Per decenni i più grandi filosofi si sono interrogati sul concetto di responsabiltà. Per Max Weber l’uomo è chiamato a rispondere delle conseguenze delle proprie azioni che hanno un peso sulla vita degli altri esseri umani. Per Hans Jonas il concetto di responsabilità acquista una dimensione nuova data la minaccia incombente del progresso tecnologico sulla vita degli individui.

Lo spirito rivoluzionario di William Powell è il motore di una storia iniziata nel 1970 che continua ad alimentarsi ancora oggi, chiamando perentoriamente in causa quel concetto di responsabilità a cui – nonostante gli anni trascorsi e le parole spese – si fatica ancora a definire con lucida precisione.

La pubblicazione di The Anarchist Cookbook, libro contenente le istruzioni per la fabbricazione di esplosivi che Powell scrisse ormai quarant’anni fa (a soli 19 anni), è al centro del documentario American Anarchist di Charlie Siskel. In un’intervista senza filtri dalla quale emerge una personalità forte che a mano a mano si libera di qualsiasi sovrastruttura esternando così tutta la sua fragilità, lo stesso Powell riflette sulle conseguenze della pubblicazione di una delle più controverse opere mai pubblicate, a metà tra il manifesto rivoluzionario e il più didascalico dei manuali.

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Siskel si serve di una forma stilistica molto classica e sicuramente più congeniale al piccolo schermo (non sorprende, vista l’attiva produzione del regista in ambito televisivo) per ripercorre la vita di Powell, una vita segnata dalla continua associazione del suo “libro maledetto” a decenni di violenza e terrorismo, inclusi episodi di proteste antigovernative e di sparatorie nelle scuole.

Attraverso le dichiarazioni dello stesso Powell (e le numerose immagini di repertorio) entriamo in contatto con l’esperienza di un uomo tormentato alla continua ricerca di un senso per i danni causati da quello che era inizialmente (ed unicamente) nato come atto di protesta contro il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam, nel clima esaltante della controcultura e degli scontri politici degli anni ’60 e ’70.

Siskel cerca di avvicinarsi a Powell e – di conseguenza – allo spettatore nel modo più limpido e meno contaminato possibile, dipingendo il ritratto di un rivoluzionario pentito che, all’età di 65 anni, si ritrova a dover fare i conti con gli effetti devastanti di una ribellione giovanile che continuano ad intaccare non solo la sua esistenza e le persone che lo circondano, ma anche il suo spirito, in una confessione sorprendentemente sincera che apre le porte a tutta una serie di profonde e sconcertanti riflessioni.

Il documentario/intervista di Siskel ha il grande pregio di soffermarsi su Powell in quanto essere umano, sull’uomo che non riesce a liberarsi del suo passato e che non smette di interrogarsi sull’importanza delle azioni e, soprattutto, sull’impatto che le nostre idee e le nostre parole possono avere sulla vita degli altri.

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