
La voce fuori campo di Yuki avverte subito lo spettatore: la loro storia potrebbe sembrare una favola. E in effetti Wolf Children si rivela esattamente questo: una poetica favola giapponese, capace di costruire una storia familiare realistica e toccante, partendo da presupposti fantastici.

La natura entra a tutti gli effetti nella storia come un altro protagonista, soprattutto perchè la vicenda esplora il rapporto che ciascun membro della famiglia instaura con l’ambiente circostante, mostrando attraverso i tre caratteri di Hana, Yuki e Ame, le possibili interazioni dell’uomo con gli elementi naturali. In particolare le vicende dei due fratelli rappresentano, mentre crescono e sviluppano attitudini differenti, due casi esemplari e opposti. Attraverso i loro sentimenti, il film riflette sulle possibili sfaccettature di temi universali, come l’accettazione della propria natura, il confronto con le proprie origini e con le scelte per il futuro.
Si tratta quindi di una favola magnificamente illustrata, capace di trasmettere il proprio messaggio su più livelli di lettura, ma sempre con delicatezza. I suoi unici limiti risultano essere la lunghezza (appena eccessiva) e la connotazione un po’ teatrale nella rappresentazione dei momenti di pathos più intenso, sicuramente vicina alla sensibilità orientale, ma forse forzata agli occhi di una platea occidentale.
Alcuni critici hanno trovato l’opera di Mamoru Hosoda vicina alla visione artistica di Hayao Miyazaki, ma Wolf Children può vantare un’originalità libera da influssi.
