La città incantata: recensione del film di Hayao Miyazaki


La città incantata

 

Anno: 2001

Regia: Hayao Miyazaki

Con le voci di: Erica Necci (Chihiro), Emiliano Coltorti (Haku), Sonia Scotti (Yubaba), Marzia dal Fabbro (Lin), Mino Caprio (Aogaeru), Carlo Valli (papà di Chihiro), Roberta Greganti (mamma di Chihiro)


Sinossi:

Chihiro è in auto con i suoi genitori che stanno andando verso la loro nuova casa: i due adulti prendono una strada sbarrata e arrivano in uno strano paesino, che sembra un luna park abbandonato, con ristoranti e locali pieni di cibo con cui si abbuffano. Chihiro vede i genitori trasformarsi in maiali: hanno mangiato il cibo che la maga Yubaba, padrona del villaggio, ha preparato per i frequentatori del posto, e per questo sono puniti. Per riscattarli Chihiro accetta di lavorare nelle terme, conoscendo Haku, anche lui prigioniero di un incantesimo della maga, al quale è legata da più di quanto immagina e che riuscirà a liberare, prima di poter tornare a casa con i genitori tornati umani.

Analisi

La città incantataPer molti La città incantata è il capolavoro di Hayao Miyazaki, vincitore dell’Oscar come migliore film d’animazione: senz’altro è il suo lungometraggio che ha ottenuto più premi, tra cui l’Orso d’oro a Berlino e il Saturn Award, a sottolineare una qualità di storia e di disegno ben oltre gli stereotipi sugli anime, che sono ancora presenti, anche se meno rispetto ad anni fa.

Di nuovo un’eroina, una bambina, non eroica combattente né maghetta dagli straordinari poteri, giusto per andare oltre i personaggi tipici degli anime, che vede il mondo della fantasia entrare nel mondo reale di colpo, dall’arrivo, per una disattenzione degli adulti, poco intuitivi e concentrati solo sul trovare una scorciatoia per arrivare prima, in un paesaggio che man mano cambia e diventa inquietante e magico.

La città incantataEvidenti le contaminazioni e gli omaggi con il folklore giapponese, popolato di spiriti più o meno benevoli, che abitano la natura, e cercano di vivere in armonia con essa, e che possono avere dei loro spazi, come questa città tutta per loro, in cui confrontarsi e curarsi, secondo il principio molto giapponese di mescolare tradizione e modernità. Gli spiriti de La città incantata non sono cattivi: vedono solo la realtà in un modo diverso, ma nella scena del mostro che si libera dall’inquinamento e diventa una splendida creatura fantastica, Miyazaki mette tutto il suo ecologismo, il suo amore per la diversità, il suo sense of wonder.

Il tema di fondo del film è crescere, trovare se stessi, aiutare gli altri, attraverso una filosofia del lavoro e dell’abnegazione, che non è comunque reazionaria e conservatrice, ma porta Chihiro a instaurare un rapporto di armonia e rispetto con tutte le creature. Il fatto che sia lei ad avere ancora un animo che le permette di capire il pericolo e di non cadere in un inganno di un posto pieno di cibo succulento che avrebbe attirato chiunque è perfettamente inserito nella poetica di Miyazaki, attento agli ingenui e ai fantasiosi e a chi si sa sottrarre dal ritmo del progresso, a favore di una vita più sostenibile.

Il contrasto tra mondo fantastico e mondo reale si comporrà con Chihiro che ricorda la sua avventura, avvenuta in realtà, come è da tradizione nelle storie in cui si entra nel mondo degli spiriti, in uno sprazzo di minuti, mentre là fuori il tempo ha continuato a scorrere. Una fiaba orientale e intrisa di filosofia animista e nipponica ma che ha saputo parlare a tutto il mondo: il romanzo che l’ha ispirata, Il meraviglioso paese oltre la nebbia di Sachiko Kashiwaba, è poi stato tradotto in altre lingue sfruttando il successo del film.

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