Il rischio di Anni felici, nuovo lavoro di Daniele Luchetti, era di scivolare in una mera “operazione nostalgia”, di lasciarsi andare essenzialmente alla voglia di rievocare l’atmosfera colorata dei Seventies, gli happenings, la liberazione sessuale, o anche semplicemente il passato della propria famiglia. La storia è ispirata alle vicende di casa Luchetti; vediamo la figura del regista nel piccolo Dario (Samuel Garofalo). Pericolo scampato.

 

Anni felici è ambientato a Roma, anni Settanta. Guido e Serena. Lui, artista in cerca di affermazione, insegue la trasgressione senza sentirla davvero. Lei vive per il suo uomo e spesso gli impone la sua presenza. È un amore sincero, ma fatto di attaccamento eccessivo, ricatti. Di ogni loro momento, litigi e rappacificazioni, alterne fortune lavorative, i figli Dario e Paolo sono testimoni. Nella ricerca dei propri spazi di libertà, i coniugi innescano cambiamenti dopo i quali nulla sarà più come prima.

C’è il clima degli anni ’70, ma il film non cade negli stereotipi, anzi li svela e vi oppone una realtà. Primo fra tutti la libertà sessuale – Serena cerca davvero sé stessa attraverso nuove esperienze e cambierà – ma anche l’immagine dell’artista trasgressivo, la famiglia perfetta. Centrale è un tema universale: la difficoltà di un amore adulto, nella coppia e con i figli, non egocentrico, che non costringa in una trappola. Guido e Serena si opprimono a vicenda: lui è insicuro, cerca costantemente conferme in lei, in altre donne, nell’approvazione dei critici. Allo stesso tempo, però, mal sopporta la presenza eccessiva della moglie. Chiede spazio, ma non ne vuole dare e non sa affrontare la vita solo con se stesso – Kim Rossi Stuart dà sapientemente spessore al personaggio.

Serena – Micaela Ramazzotti emerge con forza e spontaneità in un ruolo che per certi versi ricorda altre sue interpretazioni, ma esplora anche nuovi aspetti – vive dell’amore possessivo che riversa su marito e figli, ma non vede se stessa. Entrambi però evolvono. Prima Serena, che si allontana da Guido, spezzando così il circolo vizioso. Capiscono che amare l’altro significa anche lasciarlo libero o liberarsene, trovando il proprio spazio. Comprendono che la libertà, magari prima concessa con dolore, è invece anche necessaria per sé, per ripensarsi.

Cifra del regista: un realismo quasi verista, che spoglia i suoi protagonisti di ogni orpello. Vi si attacca con primi piani molto stretti. C’è poi un omaggio al mezzo-pellicola, questo sì un po’ nostalgico. Il super 8 in particolare restituisce lo sguardo di Dario bambino, è il suo modo per farsi apprezzare e ascoltare. Molto appropriata la scelta dei due piccoli attori: a loro e al rapporto con i genitori sono affidati alcuni tra i momenti più efficaci e toccanti del film, sostenuto pure da dialoghi pregnanti.

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