Hannah: recensione del film con Charlotte Rampling

Hannah - Andrea Pallaoro

La fine del festival si avvicina inesorabile e oggi alla Mostra del Cinema di Venezia è stato presentato l’ultimo film italiano in concorso del regista Andrea Pallaoro, dal titolo Hannah, con una protagonista d’eccellenza, la bella e talentuosa Charlotte Rampling.

 

Dopo l’arresto del marito, Hannah (Charlotte Rampling) si ritrova tutta sola in una casa circondata dai suoi ricordi più dolorosi, costretta ad adattarsi alla sua nuova vita. La donna così cerca di riempire le sue giornate con svariate attività, come il corso di recitazione e la piscina, che oltre al lavoro la tengano impegnata e le impediscano di pensare a tutti i suoi problemi, distaccandosi così dalla realtà. Ma ben presto i fantasmi del suo passato torneranno a presentarle un conto assai salato…

Hannah - Andrea Pallaoro

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A cinque anni di distanza dal suo esordio cinematografico con Medeas – film presentato nella sezione Orizzonti a Venezia 70 -, Andrea Pallaoro, italiano di nascita e americano d’adozione, prova stavolta a far breccia nel cuore di pubblico e critica a Venezia 74 con la sua nuova fatica cinematografica, Hannah. Nonostante la sua bellissima opera prima, quello presentato quest’anno in concorso al festival è un film che purtroppo non convince. Si tratta di un dramma psicologico, claustrofobico e forse un po’ pretenzioso, un falso film d’autore che spreca di fatto il talento di una leggenda del cinema come Charlotte Rampling facendola recitare quasi con una mano legata dietro la schiena. La protagonista è evidentemente una donna sofferente che, pur di non abbandonarsi al pianto e alla disperazione, sfogando così tutta la sua frustrazione, preferisce mostrarsi dura e quasi apatica risultando così troppo fredda per il pubblico che non riesce ad entrare in sintonia con il suo personaggio.

Hannah - Andrea Pallaoro

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La camera di Pallaoro segue pedissequamente ogni spostamento di Hannah ma di fatto non fa alcuno sforzo per rendere la storia di questa donna chiara ed appassionante. Tutto è silenzioso e incredibilmente statico, la narrazione è lenta e sembra che l’unico obiettivo del regista sia quello di sfinire il suo pubblico. Niente del passato di Hannah ci viene rivelato ma, facendo attenzione ai pochi indizi concessi da una sceneggiatura già fin troppo scarna, riusciamo a mettere insieme alcuni pezzi di questo confuso puzzle; grazie al ritrovamento di una busta misteriosa – il cui contenuto non verrà mai rivelato – nascosta in casa dal marito, intuiamo che l’arresto del suo consorte potrebbe in effetti essere collegato ai dissapori che la donna ha con il figlio che non le parla e non le permette di vedere il nipote. L’unico accenno di umanità di una Rampling brava ma fin troppo pietrificata nella sua espressione di dolore, è racchiuso infatti proprio in uno sfogo di Hannah che, dopo essere stata cacciata dalla festa del suo nipotino, sembra avere un crollo emotivo improvviso. In quel preciso istante il film sembra quasi intenzionato a prendere una direzione diversa abbandonandosi ad un finale inaspettato e drammatico ma poi ci ripensa, la Rampling si asciuga le lacrime, e torna a vagare solitaria per la città.

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