Valerio Golino con Miele, sua opera prima da sceneggiatrice e regista dimostra di non aver paura di trattare un argomento delicato e propenso alla polemica come quello del suicidio assistito. Il film racconta di persone che hanno una volontà ferrea e prendono decisioni del tutto consocie poiché consapevoli di quello che sta accadendo al loro corpo. In questo passaggio, lento e sobrio, ci pensa Irene una donna profondamente motivata ma visivamente stremata e dall’aria cupa. Miele, il suo nome di servizio usato nell’assoluto anonimato, quando indossa la camicia e i guanti in lattice racconta, in quei minuti di passaggio, attraverso gli occhi di una bravissima Jasmine Trinca, il senso dell’umanità che vede spegnersi intorno a lei.
In Miele Irene (Jasmine Trinca) è una ragazza di trent’anni che ha deciso di aiutare i malati terminali a porre fine alla loro agonia. Un giorno a richiedere il suo servizio è l’ingegner Carlo Grimaldi (Carlo Cecchi) sessantenne in buona salute che ritiene di viver vissuto abbastanza. L’incontro metterà in discussione le convinzioni di Irene e la coinvolgerà in un dialogo serrato lungo il quale la relazione tra i due sembrerà infittirsi di sottintesi e ambiguità affettive.
La profonda bellezza e formalità estetica di Valeria Golino, ci tiene lontano da ogni scena di morte preferendo ribattere con le immagini della vita frenetica di Irene alla ricerca di emozioni che bilancino questo grande senso di vuoto e pietà che è simbolo della sua vita piena di bugie in un mestiere ricco di regole. A guastare il meccanismo perfetto c’è la figura dell’ingegnere Grimaldi (Carlo Cecchi), uomo scorbutico, cinico e consapevole di aver avuto tutto e forse anche troppo dalla vita e che ora non ha più quella spinta vitale di un tempo. Un rapporto tra personalità forti da una parte c’è l’idealismo e la convinzione di quello che si fa e dall’altra la volontà di andare fino infondo in un altalena continua tra la vita e la morte che trova un equilibrio nella sospensione di un’amicizia che negli scontri diretti rimette in discussione la vita di entrambi.
Per Miele
un bel lavoro è stato fatto con il montaggio sonoro di Lilio
Rosato, in cui si mescolano perfettamente i vuoti d’aria a
contatto con la natura e i rumori della città con la musica
dell’ipod nelle strade di una Roma livida. Mai banali e pieni di
intuizioni sono stati i raccordi di Giogiò Franchini,
specialmente nelle piccole ellissi temporali che ci vengono
proposte come elemento cruciale del passato di Irene, fornendo
sempre quel grande senso di continuità visiva che il film
possiede.
Con Miele, Valeria Golino sceglie un tema interessante senza prendere una posizione netta, non le interessa una morale, ma predilige raccontare un episodio di vita e concluderlo linearmente. Il film a volte si perde nel voluto eccesso dei movimenti di camera e nelle sospensioni di sceneggiatura, ma questo non sminuisce un ottimo esordio alla regia, mai banale e ricco di idee. In sala dal 1 Maggio.